Concerto inaugurale, domenica 8 maggio, ore 21, per la II edizione di Salerno Classica, concerti che si svolgeranno, descrivendo un ideale percorso tra i grandi monumenti della rettoria di San Giorgio ospite di Don Roberto Piemonte e la Cattedrale grazie alla benevola disponibilità di Don Michele Pecoraro e della Curia Arcivescovile. Salerno Classica, ideata dalla Associazione Gestione Musica, fa parte di un progetto, sostenuto dall’amministrazione comunale, con il patrocinio di ConfCommercio e della Provincia di Salerno, che ha visto il sodalizio concorrere e ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo.
La II edizione di Salerno Classica vivrà il suo primo appuntamento nella Chiesa di San Giorgio, con l’esecuzione dell’ Ottetto per Fiati e archi di Franz Schubert D803 op.166, che inaugurerà il confronto tra la Prima e la Seconda Scuola Viennese. Giuseppe Carotenuto e Lorenza Maio al violino, Martina Iacò alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello, Luigi Lamberti al contrabbasso, Giuseppe Cataldi al clarinetto, Fabio Marone al fagotto e Luca Martingano al corno, andranno ad interpretare quel “divertimento” romantico che guarda a Mozart e Beethoven che ha già varcato il confine della nuova temperie ottocentesca. Se il tema scelto per la I stagione in programma la primavera della seconda edizione di Salerno Classica è il ferace confronto tra la Prima e la Seconda scuola di Vienna, il concerto inaugurale è interamente dedicato a un Franz Schubert che guarda a Ludwig Van Beethoven. In programma un’opera datata 1824, l’ ottetto per Fiati e archi in Fa D803 op.166, pagina di enorme fortuna nei numerosi circoli viennesi di colti amatori di musica, non di rado validi esecutori. Tra questi troviamo il conte Ferdinand Troyer, valente clarinettista, che commissiona appunto Schubert il remake del successo beethoveniano, il settimino op.20 composto nel 1799. Schubert si muove da subito come un grande regista: rispetta il modello ma introduce alcune scelte che rispecchiano il proprio gusto. L’organico è lo stesso del lavoro beethoveniano (archi con clarinetto, corno e fagotto), ma con l’aggiunta del violino secondo. In questo modo gli archi includono un vero e proprio quartetto classico, tenendo conto che il contrabbasso funge spesso da rinforzo del basso in comune ad archi e fiati.
Anche la successione dei movimenti è pressoché identica, ma Minuetto e Scherzo vengono invertiti. Il ricalco giunge al punto che anche nel lavoro schubertiano il primo e l’ultimo movimento hanno delle introduzioni lente. Alcune proporzioni, tuttavia, cambiano: le variazioni sul tema di Schubert sono sette (Beethoven ne aveva proposte cinque) e l’introduzione lenta all’ultimo movimento imprime una dilatazione del tempo molto più marcata e drammatica. Qui comincia l’assoluta originalità: la voce che canta è inequivocabilmente romantica. Le modulazioni, innanzitutto, si muovono secondo un gusto e una tecnica del tutto personali, toccando a tratti punti distanti tra loro, ma sempre meravigliosamente plausibili. Il gusto melodico, poi, è molto più sinuoso ed elaborato rispetto ai profili netti e precisi del dettato beethoveniano. La solidità formale, infine, sembra voler mostrare di aver ben imparato dal modello classico: pochi incisi reggono interi movimenti, le simmetrie rigorose si aprono e si ammorbidiscono in funzione espressiva, i caratteri dei singoli movimenti si equilibrano in un sapiente gioco di pesi e contrappesi. L’opera si inserisce nel solco della gloriosa tradizione del Divertimento viennese. Con la sola eccezione dell’introduzione lenta (Andante molto), all’Allegro conclusivo, che sembra gettare un’ombra obliqua di inquietitudine e disperazione sul rasserenante paesaggio dell’anima, dipinto dai cinque movimenti precedenti, tutto l’Ottetto è pervaso da un sentimento di tranquilla, serena cantabilità, che l’adozione della tonalità bucolica e pastorale di Fa maggiore, accentua ulteriormente. Schubert si trova particolarmente a proprio agio in questo genere di musica squisitamente “mondano”, alle cui richieste sa perfettamente adeguarsi, senza peraltro venire mai meno alle più intime ragioni del proprio stile, con la sua commovente semplicità d’eloquio, con la purezza catartica e rasserenata delle sue melodie, l’Ottetto si colloca, in effetti, in un ambito musicale che, indipendentemente dal particolare organico strumentale adottato, è assai più vicino a quello del divertimento K.565 di Mozart, che a quello del settimino beethoveniano. Il primo movimento si basa su due temi contrastanti, secondo lo schema della sonata classica: dopo un breve e misterioso Adagio, segue un ampio Allegro caratterizzato da una fresca e gioiosa melodia attraversata da lievi increspature. Affascinante e trasognato appare il secondo tempo, Adagio, permeato dal timbro caldo e pastoso del clarinetto. Il terzo movimento, Allegro vivace, ha un ampio respiro sinfonico con ritmi ben scanditi; accenni a danze popolari nella sezione centrale. Il successivo Andante è organizzato in forma di sette variazioni sul tema incantato e sognante del duetto del Singspiel “Die Freunde von Salamanka” composto da Schubert nel 1815: la melodia, esposta dal violino e dal clarinetto è, poi, elaborata da ogni strumento, esaltando ciascuno la propria timbrica. Il quinto movimento, Minuetto: Allegretto, è un elegante e poetico Ländler con sfumature accennate dal corno. L’ultimo movimento, Andante molto – Allegro, è la pagina più intensamente drammatica di tutta la composizione ed anche quella in cui Schubert più decisamente si distacca dal modello beethoveniano. Qui ogni traccia di mondanità è messa bruscamente da parte ed è come se l’autore, sollevando lo sguardo, s’interrogasse sulla vita e sulla morte. Bastano queste diciassette battute a gettare un’ombra dolorosa sulla giocosità manierata del successivo allegro, dalla tematica fin troppo disinvolta, l’inquietitudine, del resto, non è completamente dissipata, ché il motivo dell’introduzione ritornerà ancora una volta, poco prima della conclusione, a turbare il gioco piacevole e innocente.