Salerno – Mobilità condivisa; vent’anni dopo la sua introduzione, resta un modello sconosciuto a Salerno. È quanto emerge, in maniera dettagliata, dalla lettura del V Rapporto Nazionale sulla Sharing Mobility 2021 dell’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility. Iniziativa promossa dai Ministeri della Transizione Ecologica; delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili; della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.
Sia chiaro: il rapporto certifica e stampa su carta patinata la fotografia che tutti i salernitani hanno ogni giorno davanti agli occhi.
Fa specie, però, vedere Salerno a quota-zero nella speciale tabella di pagina 59, riassuntiva della “relazione tra presenza di servizi e abitanti”, relativa ai “capoluoghi di provincia per presenza di servizi e popolazione”.
Zero auto e scooter ma anche bici (pagina 79) e monopattini elettrici condivisi. Salerno è in buona compagnia, è vero. Ma è altrettanto chiaro che altre città corrono verso questo nuovo modello di (micro)mobilità. Tanto a seguito di visioni politiche che concretizzano precisi indirizzi amministrativi.
Modello – Nel rapporto si legge: “La sharing mobility ha iniziato il suo cammino in Italia venti anni fa con la nascita dei primi due servizi di bikesharing e carsharing, rispettivamente nelle città di Ravenna e Milano nel 2000 e nel 2001. Da quel momento, dietro la spinta delle continue innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato il settore, è via via aumentata la sua presenza e il suo impatto sulle città e sul modo con cui le persone si spostano, soprattutto nelle aree urbane.
Completando le caratteristiche dei tradizionali servizi di mobilità condivisa, i servizi di sharing mobility aumentano le possibilità di spostarsi anche senza la propria auto e, di conseguenza, consentono di ridurre le esternalità negative legate al suo uso.
Si tratta di un potenziale positivo riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente sin dalla fine degli anni novanta del secolo scorso quando, attraverso il Decreto ‘Interventi per la mobilità sostenibile’ emanato nel marzo del 1998, garantisce una dotazione finanziaria dedicata agli enti locali per promuovere e sostenere nuove ‘forme di multiproprietà dei veicoli destinate ad essere utilizzate da più persone, dietro pagamento di una quota proporzionale al tempo d’uso ed ai chilometri percorsi’ (vale a dire il servizio di carsharing) e ‘organizzare servizi di uso collettivo ottimale delle autovetture’ ovvero il servizio di carpooling.
È dunque l’obiettivo di riduzione degli impatti ambientali nelle aree urbane e l’intervento dello Stato attraverso il ruolo strumentale degli enti locali che dà l’avvio al fenomeno della sharing mobility in Italia.
In questa fase pioneristica, le interfacce tra veicoli, operatori e utenti sono ancora in larga parte fisiche (chiavi universali, schede magnetiche, stazioni). Nel tempo, lo sviluppo e l’uso sempre più diffuso di internet, l’uso delle smart card perfezionano progressivamente il modo di condividere i veicoli, rendendo questa attività sempre più semplice ed accessibile sia dal lato della domanda che dell’offerta. Ma il cosiddetto game changer per i servizi di sharing mobility è senza dubbio l’avvento dello smartphone”.
Cause – Lo stesso rapporto va a fondo nell’analisi della cause che frenano lo sviluppo del settore. Si legge: “Assenza di risorse stabili a disposizione delle amministrazioni locali che intendono garantire un livello di servizi di vehiclesharing in grado di completare l’offerta locale di servizi di mobilità condivisa (servizi di linea e non di linea). In particolare, allo stato attuale, risulta complesso rintracciare risorse per programmare la gestione dei servizi nel tempo e coprire le spese in conto esercizio per mantenere alti i livelli di servizio”.
Ancora: “I servizi di vehiclesharing mancano dello statuto di servizio pubblico, anche lì dove l’amministrazione locale ne preveda l’istituzione nel quadro della propria pianificazione della mobilità sostenibile, garantendolo a tutti a determinate condizioni e definendolo a seconda della tipologia di servizio e delle specificità del contesto territoriale e trasportistico. Per i servizi di vehiclesharing manca inoltre una disciplina in materia di scelta della modalità di gestione del servizio e di affidamento dei contratti simile a quella applicabile ai servizi pubblici locali contenuta all’art. 6 del Dl Concorrenza”.
Infine: “La regolazione dei servizi di vehiclesharing a carattere locale sconta una incertezza di fondo tra libera iniziativa del noleggio senza conducente e la necessaria esigenza dell’ente locale di regolare l’uso e la disponibilità dei servizi di vehiclesharing nei prpri territori di competenza.
Mancano al momento dei criteri minimi uniformi per la selezione degli operatori, come per esempio il grado di sostenibilità ambientale dei veicoli, l’uso corretto e sicuro dei veicoli da parte degli utenti, la complementarità con gli altri servizi di mobilità, la collaborazione nella creazione di piattaforme di Mobility as a Service etc., in grado di orientare quanto più possibile la selezione del/degli operatori su una base qualitativa. Non sono attualmente presenti, inoltre, standard sulla quantità e la qualità dei dati richiesti per il monitoraggio del servizio, così come le procedure per lo scambio di dati funzionali al controllo dei requisiti richiesti dalle amministrazioni in sedi di procedura di valutazione/selezione degli operatori”.