“La “piazza di spaccio” individuata nel carcere di Salerno è solo una di quelle esistenti negli istituti penitenziari del Paese dove il traffico può raggiungere sino a 5 kg di droga al giorno, con un giro di affari che solo nelle carceri campane raggiunge i 10 milioni d’euro l’anno”. Così il segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “l’operazione nel carcere di Salerno ha scoperchiato quella che è una realtà, almeno a noi, ben nota. Solo l’Amministrazione Penitenziaria e la politica lo ignorano, mentre per la prima volta la Procura della Repubblica ha avviato un’inchiesta di così vaste proporzioni tutta sul carcere. Una novità non da poco che potrebbe segnare una svolta per quanto denunciamo da anni. Anche il listino prezzi che sta circolando sui media – sino a 100 euro per una dose di hashish o per 0,2 grammi di crack e 150 euro per mezzo grammo di cocaina – non ci ha sorpreso. Salgono i prezzi perché sale la richiesta e per ricattare in modo più asfissiante i detenuti tossicodipendenti che complessivamente sono un terzo dell’intera popolazione carceraria. Un giro criminale di spaccio che fa impallidire quello degli spacciatori di piazze tra le più forti come, ad esempio, Scampia a Napoli e Barone a Milano.
Il sistema messo a punto da boss e clan è identico a quello di fuori con detenuti assuntori costretti a diventare spacciatori per rifornirsi e sottostare ad ogni tipo di angheria. È un giro che – afferma Di Giacomo – vede i familiari dei detenuti pagare direttamente i clan per la fornitura in cella di stupefacenti e l’alternarsi di pusher fuori e dentro le celle, grazie in particolare ai detenuti in permesso lavoro che fanno la spola o utilizzando i detenuti più deboli e ricattabili. Più recentemente si è fatto ricorso all’impiego di droni e persino al pallone di calcio imbottito di stupefacenti. Con introiti per i clan di milioni di euro, mentre sempre più rari sono i casi, di madri e mogli che portano la droga approfittando del colloquio con il congiunto. Sono invece gli uomini dei clan, che si servono di telefonini – come avvenuto con il sequestro a Salerno insieme alla droga – per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici. Così la
detenzione del capo clan che dovrebbe rappresentare la fine della “carriera criminale” – aggiunge Di Giacomo – non solo si trasforma in continuazione ma cementifica i rapporti con detenuti e alimenta l’economia criminale necessaria specie per sostenere le famiglie dei
detenuti. Ovviamente – continua il segretario del S.PP. – questo avviene perché la domanda di stupefacenti è alta: la presenza di detenuti classificati tossicodipendenti già all’ingresso è di circa 18mila (poco meno del 30% del totale) per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su 10 sono solo spacciatori e non consumatori. Sono cose che purtroppo ripetiamo da almeno 5 anni senza che accada nulla se non in occasione di operazioni come quella di Milano-Opera salvo a mostrare interesse mediatico che si limita
ad un paio di giorni”.