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È stato ordinato l’arresto con traduzione in carcere di S.D., un uomo di nazionalità indiana, sospettato di aver ucciso Singh Gurinder, il 35enne, bracciante agricolo presso un’azienda di allevamento di bufale sita tra i comuni di Sicignano degli Alburni e Palomonte, ritrovato cadavere e a pezzi, nel febbraio 2022 nei tra gli arbusti del Vallone Vonghia a Palomonte.
Ad uccidere il 35enne indiano, secondo la Procura della Repubblica di Salerno, sarebbe stato un altro connazionale, S.D., anche lui indiano, collega di lavoro della vittima con la quale ne condivideva anche l’alloggio all’interno di un prefabbricato sito nei pressi dell’allevamento dove i due lavoravano.
Per l’indagato, sospettato di aver ucciso un connazionale e di averne sventrato e decapitato il corpo, è scattato stamane l’ordinanza di arresto con misura cautelare in carcere da parte del Tribunale del Riesame di Salerno dopo il ricorso della Procura della Repubblica contro un precedente rigetto da parte del gip che aveva ritenuto insufficienti gli indizi raccolti dagli investigatori.
Indagine avviata a seguito del ritrovamento a febbraio 2022 da parte di alcuni residenti di località Padula, nei pressi del torrente Vonghia nel comune di Palomonte, lungo la strada provinciale 10/A di un teschio e di parti di ossa rinvenute trascinati dai cani di un pastore dinanzi ad un’abitazione. Fu infatti, il pastore, a fare il macabro rinvenimento dinanzi alla sua abitazione e a scoprire che quelle ossa erano resti umani. Di lì, l’arrivo sul posto dei carabinieri che a seguito di una ricerca tra i boschi e le sterpaglie, trovarono tra i campi, il cadavere a pezzi, in avanzato stato di decomposizione, sventrato e decapitato.
La vittima, secondo gli inquirenti, prima fu percossa, riportando numerose fratture al setto nasale, alla mandibola e alla tibia destra, e poi uccisa, sventrata e decapitata. I resti del cadavere dell’uomo sarebbero poi stati caricati forse a bordo di un automezzo e gettati nel vallone Vonghia. Cadavere, la cui identità è stata ricostruita solo grazie all’esame del dna.
A scatenare la lite e il successivo omicidio, per gli inquirenti sarebbero stati dei contrasti personali tra i due indiani, entrambi dipendenti dell’azienda bufalina e coinquilini di un prefabbricato messo loro a disposizione dalla datrice di lavoro. A far insospettire gli inquirenti, le tracce di sangue rinvenute all’indomani del ritrovamento del cadavere, della vittima all’interno della sua macchina, alcuni indumenti e nel prefabbricato.
Elementi investigativi ritenuti quali indizi di non grave colpevolezza da parte del Gip che, evidenziando lacune nelle investigazioni tra cui il mancato utilizzo della tecnica del “Bloodstain Pattern Analysis” cioè dell’analisi scientifica delle traiettorie degli schizzi di sangue, aveva ritenuto non sufficienti le tracce ematiche. Durante le indagini, inoltre, alcuni testimoni avevano dichiarato di aver notato in vita la vittima in un momento successivo o contemporaneo la partenza dell’indagato per il suo paese di origine. Il Tribunale del Riesame, però, ha approfondito le indagini proprio a seguito della partenza in volo dell’indagato per il suo paese d’origine, avvenuta all’improvviso, con biglietto aereo comprato a poche ore dall’orario di partenza e senza registrare alcun bagaglio, disponendone così l’arresto.
Il provvedimento però non potrà essere eseguito, in quanto è ancora impossibile per i legali dell’imputato impugnarlo in Cassazione, mentre sull’omicidio proseguono le indagini della magistratura.