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Si allunga e migliora la qualità della vita dei pazienti affetti da tumore al colon retto metastatico. Ciò grazie ad una cura che associa un anticorpo alla chemioterapia, ma che viene somministrata non più secondo posologia, ma secondo i casi ad intermittenza.

Solo se e quando è necessario, dunque. Questo implica meno effetti collaterali, meno accessi in ospedale, migliore qualità della vita, sopravvivenza libera da malattia che si allunga a 20 mesi rispetto ai 13 del trattamento standard. È quanto emerge dallo studio Improve, tutto italiano e coordinato dall’Istituto dei tumori di Napoli, presentato oggi al congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco). La nuova strategia di somministrazione della cura ha avuto effetti positivi su 137 pazienti con tumore del colon retto metastatico, in prima linea di trattamento, arruolati in 14 centri italiani.

Dai primi dati è emerso che somministrando l’anticorpo panitumumab con la chemioterapia standard e confrontando la modalità classica di somministrazione continua verso una somministrazione alternata a periodi di interruzione, in questi pazienti è migliorata l’efficacia del trattamento e si sono attenuati alcuni effetti collaterali, come la tossicità cutanea. Lo studio ha dimostrato per la prima volta nel tumore del colon-retto che il trattamento sperimentale intermittente comporta un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione.

In particolare nei tumori del colon metastatico la sopravvivenza libera da progressione ha raggiunto i 20 mesi con un miglioramento di 7 mesi rispetto alla cura standard. Questi risultati “hanno particolare importanza nella pratica clinica – afferma Antonio Avallone, prima firma dello studio, direttore dell’Oncologia Clinica Sperimentale Addome dell’Istituto Pascalee assumono particolare rilevanza nell’era della pandemia in quanto tale strategia riduce gli accessi ospedalieri dei pazienti”.

Il lavoro nasce dalla collaborazione tra l’Unità diretta da Avallone e quella di Farmacologia Sperimentale Oncologica diretta da Alfredo Budillon co-principal investigator dello studio. Le analisi in corso sui campioni biologici dei pazienti trattati, sottolinea Budillon, “avviate in collaborazione con l’Università Federico II, permetteranno di definire biomarcatori in grado di ottimizzare e personalizzare la nuova strategia terapeutica”.