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Sciabolate e tecnicismi, colpi di fioretto e principi costituzionali. Governo e Regione Campania senza esclusione di colpi, all’udienza sul terzo mandato alla Consulta. Il verdetto è atteso nelle prossime ore, dopo la camera di consiglio. A prescindere dall’esito, una sensazione si fa strada: la decisione sarà uno spartiacque. Anche per il futuro, non solo della Campania. In apertura c’è stata la relazione del giudice Giovanni Pitruzzella, al quale è toccato ricordare i termini del ricorso. Il premier Giorgia Meloni ha impugnato l’articolo 1 comma 1 della legge della Regione Campania numero 16 del 2024, “lamentando la violazione degli articoli 3, 51 e 122 primo comma della Costituzione”. A rappresentare Palazzo Chigi l’avvocatura dello Stato, con i legali Ruggero Di Martino ed Eugenio de Bonis. Per l’ente di Santa Lucia, invece, gli avvocati Giandomenico Falcon, Aristide Police, Marcello Cecchetti.

In via preliminare, la Regione Campania ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, per “omessa ricostruzione o incompletezza del quadro fattuale e giuridico”. Il divieto del terzo mandato consecutivo non terrebbe conto del “diritto vivente formatosi nella giurisprudenza”. Un quadro coerente con la già “avvenuta promulgazione da parte di altre Regioni, Veneto, Marche e Piemonte, di leggi che, sul presupposto del carattere non autoapplicativo del principio, lo hanno introdotto a valere dal mandato presidenziale in corso o da quello successivo”. Secondo Falcon, non si capisce “per quale ragione le leggi del Veneto, delle Marche e del Piemonte, che fanno riferimento al computo dei mandati successivi all’approvazione delle legge, andrebbero bene mentre non andrebbe bene quella della Campania, che ingloba nel computo dei mandati anche quello in corso”. La Regione, dunque, nega la “natura autoapplicativa del divieto del terzo mandato consecutivo”. Valea dire, un po’ l’architrave dell’impugnazione governativa. Nella tesi difensiva, viceversa, si sottolinea un “doppio rinvio alla legislazione regionale di recepimento”. La non autoapplicabilità, inoltre, sarebbe dimostrata dall’assenza di ricorsi del governo, rispetto alle analoghe “leggi delle Regioni Veneto, Marche e, da ultimo, il Piemonte”.

I legali della Campania battono su un punto: la “forma di governo” regionale, materia demandata all’autonomia delle Regioni. A tale aspetto sarebbe riconducibile il limite al numero di mandati presidenziali. Intaccare questo principio, a detta della Campania, comporterebbe il mancato rispetto dell’autonomia statutaria. In pratica, per gli avvocati della Regione, “attenendo” il limite “alla forma di governo e non all’ineleggibilità, il legislatore statale non avrebbe potuto disciplinare la materia di insieme, oggetto di riserva statutaria”. A sostegno dell’assunto, i difensori dell’ente regionale hanno citato una circostanza. “La previsione sul divieto del terzo mandato – hanno affermato – era in vari ddl costituzionali ma nel testo unificato fu espunta perché ritenuta attinente alla forma di governo regionale”. In sostanza, ci sarebbe stato un ripensamento per “non limitare troppo la potestà statutaria delle Regioni”. E fin dalle origini, “il Legislatore è stato consapevole che il divieto del terzo mandato è una norma che si attaglia alla forma di governo”.

Argomentazioni cui ha ribattuto l’avvocatura dello Stato. L’avvocato Di Martino ha premesso che “la legge del Piemonte è entrata in vigore nel 2023 e nel 2023, giustamente, ha detto che il regime del divieto di terzo mandato si applica ai mandati elettorali che saranno conseguiti in futuro”. E pertanto sarebbe “correttissima la soluzione adottata dal legislatore del Piemonte”. La stessa cosa dice “anche il legislatore del Veneto nel 2012”. Anche lì, per l’avvocato dello Stato, “non c’è nessun dubbio: perché il governo avrebbe dovuto impugnare una legge regionale coerente a un principio fondamentale?”. Di Martino però rileva che “risponde alla critica fatta” l’esempio della Regione Marche, “che aveva legiferato poco dopo l’entrata in vigore della norma che aveva fissato il principio fondamentale”. In quel caso, “in effetti, è vero che il governo non ha impugnato, ma una eventuale mancata impugnazione non preclude la possibilità che poi la questione possa essere sollevata da altri soggetti interessati per poter approdare in Corte costituzionale“.

Di Martino è quindi andato in ripartenza sull’autoapplicabilità, a suo dire intangibile: “I principi vanno rispettati, non recepiti, sono direttamente operativi”. Si è richiamato cioè alla legge 165 del 2004. La norma statale prevede appunto la “non immediata rieleggilità, allo scadere del secondo mandato consecutivo, del presidente della giunta regionale, sulla base della normativa regionale adottata in materia”. Qui sarebbe il punto dolente. La norma regionale impugnata, “nella parte in cui esclude dal computo dei mandati quelli svolti precedentemente all’entrata in vigore della legge, si porrebbe in contrasto con il menzionato principio fondamentale, in violazione dell’articolo 122 primo comma e dei principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 51 della Costituzione”. E allora se la legge parla del divieto di terzo mandato, “ogni legge regionale deve rispettare questo limite”. Di Martino ha aggiunto che l’intervento legislativo della Regione Campania “è assolutamente contrario alla previsione della Costituzione, che dice che una volta che c’è una legge regionale elettorale, questa deve contenere il divieto del terzo mandato”. Tale principio “risponde anche a ovvie esigenze di coerenza con gli articolo 3 e 51 della Costituzione”. A ribadire la ragione di ciò, l’avvocato dello Stato ha ricordato che “il divieto di terzo mandato consecutivo sarebbe funzionale all’esigenza di prevenire il rischio di concentrazione e personalizzazione del potere”. Un’esigenza, peraltro, evidenziata “dalla giurisprudenza costituzionale, amministrativa, e dalla Corte di Cassazione”. E adesso parola alla sentenza.