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La consigliera regionale Marì Muscarà ha presentato un’interrogazione alla Giunta regionale per fare luce sulla gestione della SMA Campania, società in house della Regione, dalla quale ha ricevuto notizie di presunti sprechi, assunzioni poco trasparenti e un’organizzazione aziendale fallimentare, su denunce reiterate di alcuni sindacati. 
Ma entriamo nel merito, non dimenticando che proprio la SMA Campania qualche anno fa era “dentro” il sistema denunciato da Fanpage con Bloody Money. Ricordate, quando la parola d’ordine era “dobbiamo saziarci tutti”? 
Aumenti di costi ingiustificati, incarichi senza criteri di merito e discriminazioni tra i lavoratori: è questo il quadro desolante della SMA Campania che mi viene denunciato e su cui chiedo chiarezza – attacca Muscarà. Il nuovo assetto societario, con CDA, Direttore Generale e due dirigenti, ha determinato un aumento di spesa di circa 250.000 euro all’anno rispetto alla precedente gestione. A ciò si aggiunge la contrattualizzazione di decine di professionisti esterni tra avvocati, ingegneri e amministrativi per un costo complessivo di circa 500.000 euro all’anno, nonostante la società conti già 182 impiegati amministrativi e 97 tecnici. Operai senza adeguati riconoscimenti economici, assegnazioni di incarichi senza criteri chiari e trasferte rimborsate con cifre spropositate sono solo alcune delle criticità segnalate.

Come giustifica la Regione Campania queste spese folli per esterni mentre i lavoratori interni sono costretti a condizioni di disparità e mancanza di trasparenza? – incalza Muscarà, sottolineando anche le anomalie nella gestione del personale. “Siamo di fronte a un’azienda pubblica dove, secondo le denunce, regnerebbero sprechi e favoritismi, mentre chi lavora seriamente viene ignorato o penalizzato. La Regione non può restare a guardare” – conclude Muscarà. Pretendo risposte  risposte chiare, spiegando ed opponendosi alle denunce che vengono dai lavoratori e che io ho solo veicolato a chi deve rispondere e si nega: l’assessore Bonavitacola non può rispondere “mi riservo”, ma ha il dovere imposto dal ruolo che occupa – e che non gli è sufficientemente chiaro – di dare risposte, anche se a volte le domande sono scomode.