Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, una strana coppia. Li accomuna il ruolo e l’inclinazione all’eresia. Due cani sciolti, si direbbe, tanto che a entrambi viene rimproverata – da Roma – una certa tendenza a volersi costituire un partito (il proprio) nel partito (il Pd).
Per il resto non sono tante le cose su cui la pensano alla stessa maniera. Il governatore Emiliano, per dirne una, nel 2021 non faceva mistero della sua speranza: “Mi piacerebbe prendere la tessera numero 1 del partito di Conte“. Roba da lanciafiamme per il presidente campano. E non è una questione di simpatia/antipatia per l’avvocato di Volturara Appula: è proprio che Emiliano e De Lucase dovessero guidare il Pd lo condurrebbero in direzioni opposte. Eppure la partita del prossimo congresso nazionale dei Dem i due governatori potrebbero giocarla assieme, con il salernitano a fare da frontman. “De Luca è indiscutibilmente il leader più importante del Mezzogiorno. Questa sua dimensione va riconosciuta. Il Pd non può fare a meno di lui, in nessuna maniera” – ha scandito ieri Emiliano, a Napoli per testimoniare la propria adesione alla Marcia per la Pace voluta da palazzo Santa Lucia.
Musica per le orecchie di De Luca che su questo sì, la pensa esattamente come il collega: il Pd non può fare a meno di lui. E del Mezzogiorno.
Perchè il punto è questo: Bonaccini, Schlein, Nardella. Quando il Partito Democratico si mette alla ricerca del suo nuovo leader – e capita spesso – lo sguardo sulla cartina dell’Italia va dal Tevere in su. Quasi fosse scritto nello statuto: “Il Segretario nazionale rappresenta il Partito, ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale ma deve essere romano, toscano o emiliano“. Così è stato fino ad ora, fatta eccezione per il breve (e casuale) interregno del bergamasco Maurizio Martina.
Ma i tabù sono fatti per essere sfatati e la strana coppia potrebbe provarci davvero. Da underdog, però, per dirla con un’espressione cara ai bookmakers inglesi. Nelle stesse ore in cui De Luca ed Emiliano flirtavano a piazza Plebiscito, infatti, a Roma il Pd fissava le regole del gioco: primarie aperte il 12 marzo, ma solo tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti tra gli iscritti nella prima fase. Insomma, prima ancora di giocarsi il match in campo neutro i due governatori dovrebbero espugnare la roccaforte piddina di tessere e sezioni.
E dunque, da San Pietroburgo fino a Napoli e Bari l’interrogativo ritorna: Che fare? La buona notizia per i due governatori è che il tempo per le riflessioni non mancherà: il giorno ultimo per le candidature è stato fissato al 28 gennaio.