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Esce di scena Gennaro Sangiuliano, Alessandro Giuli giura da ministro della cultura. Un giornalista per un giornalista. Tra le curiosità, un vecchio libro del neoministro, fino ad oggi direttore del Museo Maxxi. “Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti (Einaudi, 2007)”. Un pamphlet polemico contro la classe dirigente di Alleanza Nazionale. Un saggio senza sconti, non privo di perfida ironia, fin dal titolo. E per di più non certo sospetto di inquinamenti ideologici.

L’allora 32enne Giuli, redattore del Foglio, non risparmiava critiche neppure a Giorgia Meloni. La premier, all’epoca 29enne, era leader di Azione Giovani e vicepresidente della Camera. Enfant prodige della destra finiana, era altresì definita “arrembante” da Giuli. Ma nel testo non mancavano bordate. Meloni, agli occhi dell’autore, pagava la vicinanza a Fini. Al punto da vedersi contestato un attacco a Mussolini, o qualcosa del genere. “Avrà fatto cose buone – disse Meloni – ma il suo sistema autoritario lo condanna, così come per Castro”. Ma a Giuli, penna erudita, non stava bene. E spiegava anche perché. “Succede sempre così – scriveva il giornalista – quando il figlio o la figlia zelota (Meloni, ndr) di un padre liquidatore (Fini, ndr) si sente tenuto a mostrare gratitudine”. E non finiva qui. “Succede che – aggiungeva Giuli -, non richiesto o non richiesta, tende a sovrastare il benefattore per asseverazione. Con effetti poco credibili”.

Giuli sminuiva insomma la giovane Giorgia, accusata di appiattimento sulla linea di Fini. Il capo di An era impegnato, a suon di strappi, a prendere le distanze dal fascismo. E Meloni, ai suoi occhi, lo avrebbe assecondato solo per disciplina. Un profilo in contrasto, peraltro, con altre donne di Alleanza Nazionale. Come Daniela Santanché, sua prossima collega di governo, o Adriana Poli Bortone. Entrambe, a differenza di Giorgia, lodate dall’autore per l’indipendenza. Ma l’opinione impietosa non si limitava a questo. Secondo Giuli infatti, Meloni alla vicepresidenza della Camera “appare come una bambina di cinque anni costretta a giocare con uno jo-jo di bronzo alto quanto lei”. Un po’ acerba in pratica. E poco svettante. Non proprio un complimento, insomma. E col senno di poi, anche azzardato. Lo stesso Giuli, dopo le stilettate, ammetteva: “Ma forse questo è un giudizio cattivo e prematuro”. Profetico forse. E in 17 anni, scommettiamo abbia cambiato idea.