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La Venere degli stracci lascia piazza Municipio per trasferirsi nella chiesa di San Severo al Pendino, ma nel trasloco trascina con sé altre polemiche. Stavolta la questione non è estetica, relativa ai costi o alla sicurezza dell’opera di Michelangelo Pistoletto. Si tratta invece di un busillis di stampo giuridico, sul crinale delle norme civili ed ecclesiastiche. Senza tralasciare, peraltro, le immancabili valutazioni di opportunità. “Secondo noi del Comitato Portosalvo le chiese di Napoli per ragioni storiche, artistiche e religiose, non possono essere trasformate in deposito per nessuna ragione”. A dirlo è il presidente Antonio Pariante, da anni impegnato nella tutela del patrimonio storico e monumentale delle chiese napoletane. “E nello specifico – aggiunge – San Severo al Pendino, seppure di proprietà comunale, è ancora consacrata”.

La chiesa si trova in via Duomo, fu edificata nel 1575 sull’antica Santa Maria a Selice. Quindi ricostruita tra 1599 e 1620, con convento attiguo. Innegabile il pregio di San Severo al Pendino. Dalla Curia di Napoli precisano che, nel 1995, un decreto arcivescovile la ridusse ad ‘uso profano non indecoroso’. Da molto tempo è destinata a mostre e attività culturali. E non vi si celebra più, se non in eventi particolari. Ma nonostante le puntualizzazioni della Diocesi, Pariante non è affatto persuaso. “Manteniamo il dubbio – spiega – soprattutto su un elemento, cioè il fatto che la chiesa è formalmente ancora consacrata. Il termine sconsacrata non lo leggiamo da nessuna parte”. E dunque “stanti le norme del codice civile, restiamo nel dubbio perché non c’è una formale autorizzazione all’uso e alla destinazione di questa opera all’interno della chiesa consacrata di San Severo al Pendino”. Il comitato sottolinea il disposto dell’articolo 831. Per effetto del Concordato, il primo comma rende i beni degli enti ecclesiastici soggetti alle norme del codice civile. Il secondo comma riguarda gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati. Si stabilisce, infatti, che non possano essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione. Questo almeno fin quando la destinazione stessa non sia cessata, in conformità delle leggi in materia.

A tal proposito, Pariante cita anche lo studio del professor Venerando Marano, coordinatore dell’Osservatorio Giuridico-Legislativo della Cei. Il documento costituisce un’interpretazione dottrinaria della norma. E ribadisce l’intangibilità del vincolo di destinazione, rispetto all’influenza dei vari passaggi di proprietà. “Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto – scrive il giurista – possono essere alienati e acquistati (in ipotesi, anche a titolo originario) senza che ciò possa in alcun modo incidere”. La legge italiana intende cioè “garantire il soddisfacimento della libertà di culto”, quale “elemento essenziale del diritto di libertà religiosa”. Anche su ciò poggia l’affondo del Comitato Portosalvo. “Le chiese rimangono tali per l’eternità” ricorda Pariante. Le Veneri degli Stracci forse anche: piromani permettendo.