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Trivellazioni nei Campi Flegrei per fermare il bradisismo? Lo sostiene una ricerca di autorevoli studiosi internazionali, ma arriva l’altolà di Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo e primo ricercatore dell’Osservatorio vesuviano. “Fondamentale è il principio di precauzione”. Una condizione sul cui rispetto giurano gli autori dell’ultimo studio, pubblicato sulla rivista scientifica American Mineralogist, e annunciata da alcuni media italiani. Tra gli artefici il geochimico Benedetto De Vivo, un tempo sulle stesse posizioni di Mastrolorenzo. Secondo De Vivo, le attuali tecnologie consentono interventi in sicurezza. In ogni caso, le trivellazioni andrebbero effettuate in aree non densamente abitate dei Campi Flegrei. Stando alla ricerca, l’odierna crisi bradisismica è dovuta alla risalita dei fluidi, non a quella del magma. Il quale, invece, cristallizza nella sua corteccia più esterna. Il magma perciò espelle fluidi, che risalgono verso la superficie. In questo scenario, le trivellazioni servirebbero da valvole di sfogo per i fluidi ad alta pressione, all’origine dei terremoti. Ma la teoria non convince affatto Mastrolorenzo, da diversi lustri in trincea contro le trivelle. “Sono sistemi complessi che – dichiara il professore – non possiamo ridurre a una pentola a pressione, come rappresentato, ma nei quali piccole modificazioni che introduciamo possono causare grandi effetti non prevedibili”. E perciò “il principio di precauzione ci impone di non aggiungere ai rischi naturali quelli indotti dall’uomo”. Quindi aggiunge: “Un’azione a questa scala, come quella ipotizzata, sarebbe decine di volte superiore al normale sfruttamento delle centrali geotermiche che non abbiamo fatto realizzare”.

Il vulcanologo, riferendosi a modelli scientifici, sottolinea che “questi sono solo ipotesi, e non possono essere posti alla base di azioni invasive e rischiose per la popolazione”. A tal riguardo cita un rapporto Ingv del 2018, nel quale si dichiara “la pericolosità di attività di trivellazione, estrazione e iniezioni di fluidi nei Campi Flegrei”. Ma anche altri punti non lo persuadono. “Se la motivazione è il cambio di tecnologia – argomenta -, non ha alcun senso perché nessuna tecnologia è a rischio zero, e il rischio dovuto alla tecnologia è solo una piccolissima parte del rischio dovuto alla imprevedibilità del comportamento dei sistemi naturali della crosta terrestre”.

E ci sono timori legati al contesto ambientale. “Sarebbe il primo esperimento a livello mondiale – dice – nell’area più densamente popolata, nel vulcano a più alto rischio nel mondo”. Mastrolorenzo garantisce sulla solidità delle sue ragioni. “Da almeno 15 anni ho evidenziato ai proponenti dei vari progetti di trivellazione – racconta – che è una cosa molto pericolosa. Qualsiasi attività di estrazione libera, che si lasci defluire il gas o che lo si inietti, ha una serie di incognite”. Non manca una lunga scia di precedenti, a sentirlo. “È stato dimostrato a livello mondiale – spiega il vulcanologo – che queste attività possono alterare in modo imprevedibile il sottosuolo. Quindi in primis generare terremoti”.

E poi c’è il problema “di alterare il sistema idrotermale, che ha un equilibrio estremamente critico, acquisito in millenni, come nel caso dei Campi Flegrei: non ne conosciamo le condizioni limite”. Per cui “qualunque modifica porta a evoluzioni non prevedibili. Può portare a terremoti o emissioni di fluidi, contenenti anidride carbonica, che è più densa dell’aria: tutte le piane dei Campi Flegrei potrebbe diventare mortale”. E in aggiunta si rischierebbe “l’innesco di fenomeni sismici, anche della massima magnitudo attesa”. Il motivo? “Perché oltre che innescare terremoti, per le decompressioni prodotte dall’estrazione di fluidi, si potrebbero innescare terremoti in strutture più esterne. Per esempio quelle del bordo calderico, che hanno magnitudo anche molto superiori a 4.4., la massima registrata”. Secondo Mastrolorenzo, dunque, “parliamo di sisma potenzialmente disastrosi”. E c’è un’ultima considerazione: “Se il problema è evitare i terremoti, la realizzazione e la gestione di decine di pozzi a 3 km sarebbe enormemente più costosa della messa in sicurezza anti sismica degli edifici”.

 

Giuseppe Mastrolorenzo