Napoli – Figura anche un finanziere che ha ricoperto il ruolo di capo scorta dell’ex presidente dell’autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone tra le 18 persone indagate dalla Procura e dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli per avere ricevuto, dall’imprenditore Luigi Scavone, denaro e altre utilità per piegare pubblici ufficiali e non alle sue esigenze, anche per evitare controlli e ottenere informazioni riservate.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Scavone avrebbe elargito regali costosi anche per 41mila euro mentre, complessivamente, sarebbero 150mila gli euro utilizzati per questi scopi. Sotto inchiesta sono finiti 7 finanzieri, tra i quali anche un tenente colonnello del nucleo anticorruzione di Roma, 3 poliziotti e un militare della Capitaneria di Porto.
Le misure cautelari sono state chieste dalla Procura di Napoli poco più di un anno fa; sulle cinque emesse lo scorso maggio attualmente pende il giudizio della Cassazione.
L’ex capo scorta, Walter Pisani, avrebbe ottenuto, grazie all’intercessione dell’imprenditore, l‘assunzione della nipote e della sorella in una delle società del gruppo di Scavone. E’ lui stesso, il 4 febbraio del 2020, a fornire agli investigatori un elenco “di amici e conoscenti” che durante il 2018 “hanno ricevuto regali di valore considerevole e altre utilità (come borse di lusso, viaggi e biglietti per le partite del Napoli, ndr)”.
Scavone si sarebbe speso anche per l’assunzione della ex moglie di un colonnello della Guardia di Finanza e, a un altro finanziere, (“mio amico da tre anni”, scrive ) ha regalato – specifica nella nota – “…un viaggio per tutta la sua famiglia e una borsa Louis Vuitton, il tutto per un valore di citrca 6mila euro”. La Guardia di Finanza aveva già acquisito le informazioni contenute nella nota recuperandole grazie a “capillari, approfonditi e dispendiosi accertamenti tecnici”.
Scavone, convinto dagli inquirenti, ha deciso poi di fornire le credenziali di accesso al “suo” cloud: la comparazione tra i backup delle chat che aveva cancellato trovati sul web e le informazioni recuperate dai finanzieri avrebbero fornito un riscontro positivo. L’imprenditore avrebbe anche messo a disposizione di alcuni militari indagati beni di lusso, come costosissime Ferrari e lussuose imbarcazioni, frutto spiegano i giudici, della “…sua enorme enorme disponibilità economica…”. Dalle intercettazioni, infine, emerge che gli indagati stavano ipotizzando ritorsioni nei confronti del generale Domenico Napolitano, comandante del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Napoli (in procinto di assumere il comando provinciale della Guardia di Finanza di Palermo), che stava indagando sulle presunte “mele marce”.