Torna a parlare il Ct della Nazionale Italiana Luciano Spalletti e lo fa a ‘Il Corriere dello Sport’, soffermandosi su ‘Euro 2024‘ e sull’addio al Napoli, a quasi un anno dal terzo scudetto conquistato dagli azzurri. Queste le dichiarazioni del tecnico di Certaldo: “Io la tristezza l’ho scelta e abbracciata lasciando Napoli dopo quella cosa là“, confessa Spalletti nella lunga intervista concessa al direttore Ivan Zazzaroni. “Sarebbe stato più facile e naturale andare avanti, lavorare con un gruppo che avevamo portato al top, godersi la felicità del momento, quella fatta provare alla gente di Napoli. Ho scelto la tristezza. Vedi”. E ancora: “In fondo a me è riuscito spesso di centrare l’obiettivo e quando lo centro vorrei tanto dare le spalle al mio divano, lasciarmi cadere all’indietro e fermarmi a guardare l’infinito, assaporando la felicità di chi ho reso felice“. Continua sul Napoli: “Ho sempre deciso per me stesso. Il mestiere vuol dire 365 giorni di grande lavoro. Dopo il primo anno i miei collaboratori mi dissero “ma cosa restiamo a fare? Hanno venduto tutti”. Erano partiti Mertens, Koulibaly, Ghoulam, Ospina, Insigne, Fabian Ruiz. Tanta qualità. Io volevo sentirmi l’allenatore del Napoli e si è allenatori di una squadra soltanto se si fa qualcosa di effettivamente importante. Quando incontri De Laurentiis la prima cosa che ti dice è “secondi siamo già arrivati e dobbiamo stare sempre in Champions”. Messaggio chiaro e diretto. Così sono ripartito per ottenere quella cosa là, è successo, sarei potuto restare ancora, il grafico prestazionale l’avevamo portato al livello più alto”. Su De Laurentiis: “Io ho due orecchie e una bocca. So ascoltare e al momento giusto parlare. De Laurentiis ha una grande comunicativa, un linguaggio scorrevole. E poi dipende sempre dal De Laurentiis che ti ritrovi di fronte, ne esistono almeno quattro o cinque. Con l’intelligenza artificiale potrebbero provare a inventarne altri”.
Spalletti parla anche del prossimo Europeo e delle convocazioni: “Mi sentirò allenatore della Nazionale soltanto quando avrò portato l’Italia avanti nell’Europeo. Lamentele? Che faccio? Accetto un compito e parto con gli alibi? La maglia della Nazionale è qualcosa di speciale. Quando arrivi in Nazionale sai che quella maglia la devi riempire. E la indossi per tutto il tempo. Devi allenarti bene nelle due ore dell’esercitazione, ma anche nelle 22 successive hai il dovere di tenere un comportamento adeguato. Meglio un giocatore un po’ meno qualitativo, ma moralmente integro. Tempo fa si è parlato anche troppo di una mia considerazione sul riposo, ossia sul fatto che bisogna essere riposati quando si va a giocare, questo banalissimo principio non può essere etichettato come codice Spalletti, ma come un dovere professionale inderogabile”. Poi un invito speciale: “Mi piacerebbe portare a Coverciano, quando ci ritroveremo per la preparazione agli Europei, quattro 10 mondiali, Baggio, Del Piero, Totti e Antognoni. Ne ho già parlato con Gravina. Pensa se quel 40 assistesse a un nostro allenamento: spingerebbe i ragazzi a elevare la prestazione… Presto partirà l’invito ufficiale della Federazione. Se vuoi posso parlarti anche di un 10 tra i pali e non solo”. Su Buffon: “Conoscevo Buffon come grande portiere, uomo di calcio e leader di spogliatoio, ma in questo periodo insieme ho capito che è anche un grande amico e che il dirigente sarà all’altezza del campione che è stato. Dimostra di possedere qualità e conoscenze anche in un ruolo completamente nuovo… E se le parole non arrivassero basterà guardarlo per comprendere dove vogliamo andare”.
Dove può arrivare l’Italia: “La fiducia deve corrispondere all’amore che si prova per la Nazionale. Più la si ama e più fiducia si ha. Non dobbiamo temere nessuno, mettiamocelo in testa come chiodo fisso. Siamo il mezzo per raggiungere la piena felicità. La nostra e quella di chi ci vuole bene”.
Un giorno De Rossi disse che sei l’allenatore che l’ha segnato di più e il migliore. Cosa significa quel “mi ha segnato”? “Tu non lo puoi capire. Perché è uno stile, un modo di parlare e ragionare. Per come ti sento e sento altri, penso non ti sia facile capire. L’altro giorno mi hai detto che ti piacciono quelli che vincono. Ma così si perde l’essenza, sia la vittoria che la sconfitta sono lo stesso impostore. Perdere induce a riflettere, a ragionare sugli errori commessi per tentare di non ripeterli più. Vincere può distrarti dall’obiettivo, dalle cose che succedono durante il percorso. Le cose dell’anima, i sentimenti… Se il giorno dopo ti fermi alla vittoria non migliori, non cresci. Non è detto, poi, che, facendo le stesse cose, si possano ottenere identici risultati. Decisivo è il modo in cui riesci a relazionarti con i giocatori e i collaboratori, quanto sei in grado di renderli doppiamente forti e parte della stessa storia: uno più uno più uno al cubo insomma. Abbracci, sentimenti, solidarietà, capacità di coinvolgimento, tanto dipende da come si vivono i differenti momenti. Il calcio è semplice, ma non è semplice“.
Massimiliano Allegri è un teroico del calcio: “A volte il calcio assume i connotati di chi lo complica. Anche voi giornalisti avete delle responsabilità, talvolta per sufficienza. Mettiamo la costruzione…”
Costruzione dal basso: “Rende bene se rapportata con lo spogliatoio e con le caratteristiche dell’avversario. Ma comporta più rischi che vantaggi. “È che adesso faccio questo e non mi è consentito dal ruolo: ma ammetto di aver pensato di venire un paio di volte in tv a parlare di calcio”. Poi continua: “Io non ho dogmi di niente. Voglio essere pratico nella profondità: non conosco un solo modo di vivere, sono per le aperture e la conoscenza di più realtà e modi di pensare e fare. Da sempre considero Marcello Lippi una fonte di ispirazione: lo seguivo con attenzione, guardavo come si comportava, l’ho voluto incontrare per farmi spiegare il mondo azzurro nel profondo. Ma allo stesso tempo guardo a Sacchi come a un modello“. I due poli: “Mi piace prendere da tutti. Sono uno da sintesi ampie, amo approfondire, conoscere. Dell’avversario voglio sapere tutto, mi dà una notizia in più da trasferire alla squadra”.
Cosa o chi temi? “Temo solo me stesso e di non aver fatto il possibile. Tutto deve dipendere da me, voglio farmi trovare pronto all’incontro con la felicità. Io sono fortunato perché ho sempre ottenuto quello che meritavo. Poi, certo, c’è anche chi ha culo. Talvolta il risultato dipende dalle capacità non solo tecniche di un calciatore, dal singolo episodio. A Napoli ci siamo sempre presi quello che avevamo costruito e meritato“.