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Napoli – “Fabiè io se Maradona non viene a Napoli mi uccido. Hai capito bene quello che ti ho detto? Io mi uccido”. Nella frase che lo zio Alfredo rivolge al nipote in una delle scene più rappresentative di “E’ stata la Mano di Dio” risiede la spiegazione più feroce e perentoria di una religione. Maradona è stato un mito immortale sin dal suo concepimento, dalla fase in cui una trattativa a cui pochi credevano stentava a decollare. “Ferlaino non ha mai cacciato una lira. E poi figurati se Maradona da Barcellona viene in questo cesso”, diceva papà Saverio al protagonista dell’opera autobiografica di Paolo Sorrentino. E così Fabio Schisa (Fabietto) si apprestava a conoscere la crudeltà della vita, in bilico tra il folle sogno del più grande colpo di mercato della storia e lo scetticismo di chi, più maturo di lui, coltivava la paura folle di un’altra fregatura.

Nel film, una vera e propria antologia della napoletanità, sono racchiusi sogni, speranze e disperazione di un popolo a cui basta poco per innamorarsi quanto per deprimersi. Un popolo che vive di passioni, di controversie e di umana semplicità. Ancora oggi, con l’attualizzarsi delle difficoltà e l’accentuarsi delle crepe sociali, la città presenta numerosi punti in comune con quella calda estate del 1984, anno in cui il marziano di Lanús sbarcò nel Golfo di Napoli. Fu amore a prima vista. Un elegante dribbling tra i patemi d’animo e la disoccupazione, tra la voglia di fuggire ai difetti degli ascensori sociali, all’illegalità e ai pregiudizi. Giocava Maradona e null’altro più contava, se non la gioia di vederlo toccare la palla con la signorilità di un re, con la delicatezza di un fiorettista.

E se nella pellicola la cosiddetta ‘mano di Dio’ incarna la salvezza per il giovane Fabietto, fuggito a un atroce destino proprio per vedere il Pibe de Oro esibirsi al San Paolo contro il modesto Empoli, oggi si può dire lo stesso per l’intera comunità. I vicoli di Partenope, i sorrisi delle persone, la loro schiettezza e la bontà d’animo che traspare da ogni gesto compiuto con naturalezza, sembrano godere di un influsso divino che personalità come quella del ‘Pelusa’ hanno lasciato in eredità per sempre. Oggi che avrebbe compiuto 62 anni e che l’intero stadio a lui intitolato lo festeggia, lo acclama, lo invoca, suona ancora più evidente quanto Maradona, il più umano degli dei, sia un’entità immortale. Di quelle che si percepiscono, che ti abbracciano e ti sospingono. Un dio del calcio in maglia azzurra. Che guarda, freme e s’incanta nel vedere i suoi ragazzi correre e segnare. Che li aiuta a domare qualsiasi avversario.