Il piano per avvelenare Giulia con in grembo il loro bimbo, poi mutato nel brutale assassinio. È entrato nel vivo il processo in corso a Milano in cui Alessandro Impagnatiello risponde di omicidio aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale per aver ucciso il 27 maggio scorso la sua compagna al settimo mese di gravidanza Stamane, infatti, davanti alla Corte d’Assise, presieduta da Antonella Bertoja, è andato in scena un film dell’orrore con la ricostruzione, corredata da slide e immagini, da parte di alcuni investigatori non solo dei mesi in cui l’ex barman avrebbe pianificato la morte della sua fidanzata, ma anche del giorno in cui l’ha colpita a morte con 37 coltellate e ha nascosto il corpo, dopo aver cercato per due volte di bruciarlo. E poi si è parlato delle sue bugie, con la denuncia della scomparsa di lei e il tentativo di far credere a tutti che Giulia Tramontano se n’era andata di casa dopo aver scoperto che lui aveva una relazione parallela con un’altra donna.
A raccontare alcuni dei dettagli della tragedia è stato un maresciallo dei carabinieri che ha ripercorso i passaggi principali delle indagini e dei loro esiti. E questo mentre il trentenne, in carcere da oltre otto mesi, davanti alla foto del corpo straziato di Giulia (peraltro mostrata due volte), ha cominciato a singhiozzare per poi tenersi la testa tra mani e nascondere il volto. Il militare ha, tra l’altro, spiegato che Impagnatiello, il 5 febbraio dell’anno scorso, mentre si trovava all’aeroporto di Malpensa in attesa che la fidanzata tornasse da Napoli, ha cercato sul suo smart-phone la parola “cloroformio“. Solvente qualche giorno dopo effettivamente acquistato via internet sotto falso nome e poi ritrovato nella cantina del loro appartamento di Senago, in provincia di Monza.
Le ricerche, inoltre, hanno riguardato anche il topicida: tra il dicembre 2022 e il maggio 2023, ha digitato sul telefono “veleno per topi”, “veleno per topi in gravidanza”, “veleno per topi uomo” e “quanto veleno per topi è necessario per uccidere una persona”. Tempistiche e particolari questi che sono riemersi in aula a sostegno dell’aggravante della premeditazione contestata dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo. Impagnatiello si è affidato al web anche per raccogliere informazioni su come rimuovere le macchie di sangue. Lo ha fatto, è stato riferito, mentre, qualche giorno dopo l’assassinio, si trovava in caserma in attesa delle analisi, con il luminol sulla sua auto.
Oltre alle deposizioni di tre carabinieri, sono stati sentiti anche due vicini di casa e l’addetto alle pulizie del condominio di via Novella. Quest’ultimo ha ricordato di avere sentito lo scorso 30 maggio, tre giorni dopo il delitto, “rumori di trascinamento” per due volte e in più fasi, “come se venisse trascinato qualcosa di pesante”. Si sarebbe trattato, è l’ipotesi dell’accusa, del corpo di Giulia, spostato dalla cantina al garage e successivamente in auto per poi essere gettato in una “anfratto” tra le sterpaglie in una via non molto lontana. Una vicina della coppia, che abita nell’appartamento di fianco, ha invece ricordato di avere udito una voce femminile, nel mezzo di una lite, la sera del 27 maggio, a un orario compatibile con quello in cui Giulia era rientrata a casa dopo essere incontrata e confrontata con la donna con cui Impagnatiello aveva una relazione parallela. “Non ho sentito grida di dolore, ma solo litigare. Sarà durato al massimo due minuti. Poi più niente”.
In aula oggi non c’erano i familiari della vittima che hanno però voluto lasciare un messaggio tramite i propri profili social. “Lotteremo per te fino all’ultimo” ha scritto la mamma Loredana mentre papà Franco, invece, ha invocato “giustizia“.