“La collaborazione di ‘Sandokan’ Schiavone mi auguro che sia vera, e se è vera è un fatto positivo”. La prudenza dell’investigatore di razza non lascia mai Guido Longo, prefetto in congedo. Ma prima questore a Caserta, Reggio Calabria e Palermo. Lui Schiavone lo conosce bene, e vale anche il reciproco. Fu Longo, da capocentro della Dia di Napoli, a scovare e catturare il capoclan dei Casalesi. Era l’11 luglio del 1998, faceva caldo e “non fu una passeggiata”. Il ricordo è venato di ironia sottile, molto siciliana. “Ci abbiamo impiegato quasi un giorno” spiega ad Anteprima24. Nella casa bunker di Casal di Principe, in via Salerno, le forze dell’ordine irruppero alle 21 del 10 luglio. Tuttavia “lo abbiamo arrestato l’indomani a mezzogiorno”. Proprio così: “Siamo riusciti a capire com’era combinato il rifugio soltanto dopo un giorno”.
Fu un gran lavoro di squadra, guidato dal capo. In tanti impegnati nelle lunghe indagini. Poi l’entrata in scena dei “ghostbusters”, il gruppo catturandi della Dia napoletana. Un team specializzato nell’acciuffare grandi latitanti. In quegli anni ruggenti, strinsero le manette anche a boss come Angelo Nuvoletta, Marzio Sepe e Mario Fabbrocino. Con Schiavone servirono tenacia, abilità e un pizzico di buona sorte. “Quella volta – racconta Guido Longo – andò bene perché aveva i bambini nel rifugio, non fosse stato così ci sarebbe stato un grosso scontro a fuoco”. Il boss aveva due kalashnikov, il caricatore inserito. Quando si arrese, sbucò con in braccio una delle figlie. Le demolizioni andavano avanti da 13 ore, gli stavano togliendo il terreno da sotto i piedi.
Nel covo sotterraneo c’erano anche la moglie Giuseppina Nappa e un cugino. E dopo 26 anni al carcere duro, ‘Sandokan’ ha saltato il fosso. Ha seguito l’esempio di due dei suoi figli maschi. Ma Longo vuole vederci chiaro. Decisiva sarà la qualità del contributo del neo collaboratore. Però una certa aspettativa c’è, quello è sicuro. “Ci sono parecchi aspetti collusivi di quegli anni, rimasti purtroppo inesplorati” osserva l’ex capo della Dia di Napoli. E tanto per essere chiari, due sono gli scenari da illuminare. “I Casalesi – rammenta l’ex poliziotto – hanno fatto i soldi con la ricostruzione del post terremoto, e con l’interramento dei rifiuti”. Business miliardari, dall’impatto devastante. Hanno distrutto “letteralmente mezza regione Campania”. E Longo, senza mezzi termini, ricorda che “non sarebbe stato possibile se non con accordi particolari con chi gestiva il potere pubblico”.
Adesso potrebbe esserci un momento di svolta. Si parla di vicende risalenti, ma il loro sfregio è indelebile. “Certi rapporti collusivi – sottolinea l’ex questore – li conoscono solo i capi. E quando si pentono, questi rapporti escono fuori”. Una regola universale, nel crimine organizzato. “Lo stesso è accaduto con Cosa Nostra, con i Buscetta e i Mutolo” dice Longo. Due pentiti “che hanno chiarito alcuni rapporti con le istituzioni, la politica e l’imprenditoria”. Vedremo cosa accadrà con ‘Sandokan’. Facendo però attenzione. Il suo pentimento “chiude un periodo storico, ma non pensiamo sia finita la lotta alla camorra”. I clan, a partire dai Casalesi, “hanno una grossissima capacità di riciclarsi con inserimenti nell’economia”. E il clima, nonostante tutto, non è dei migliori. “Sto vedendo una sorta di revisionismo” sbotta Longo. Negli anni ’90 e i primi duemila “si è lottato seriamente contro la mafia”. Ora “non vorrei che si invertisse la rotta”. E c’è dell’altro. “Non mi sta bene – aggiunge l’ex questore – che chi ha lottato contro la mafia diventi un accusato, speriamo la mia sia una paura immotivata”. Chissà.