Il Patto per Napoli bussa alla porta di Palazzo San Giacomo, ed arriva il momento di trasferire alcuni immobili comunali ad un fondo. Operazione non indolore, ma prevista dagli accordi con il governo Draghi. Cioè l’erogazione alle casse municipali di 1 miliardo e 231 milioni di euro, in tranche annuali fino al 2042. Campa cavallo, insomma. E intanto l’amministrazione comunale si priva di vari ‘gioielli di famiglia’. La scadenza è lì, dietro l’angolo. Entro il 30 novembre, serve l’ok alla delibera per procedere all’assegnazione degli immobili. Domani il provvedimento della giunta approderà in consiglio comunale. Impensabile non sia approvato. A illustrarlo ci ha pensato l’assessore Pier Paolo Baretta, oggi ascoltato dalla commissione Bilancio, presieduta da Walter Savarese.
Tecnicamente, il Comune costituirà il Fondo Napoli, entrando al 70%. Il restante 30% andrà alla Invimit Sgr. Ovvero la spa Investimenti Immobiliari Italiani, società di gestione risparmio, il cui capitale è al 100% del Ministero dell’Economia. “La scelta di Invimit – ha rassicurato Baretta – è proprio derivata dal fatto che è un interlocutore statale, si realizza una operazione totalmente a carattere pubblico, il finanziatore delle operazioni di Invimit è l’Inail“. Questa è solo la prima delle rassicurazioni dell’assessore al Bilancio. Domani, in contemporanea al consiglio comunale, è convocato il cda di Invimit. Attraverso una lunga due diligence, “si è definito un elenco di circa 600 immobili” candidabili al fondo. Gli edifici sono stati scelti sulle circa 67.000 unità immobiliari del Comune. A quest’ultima cifra, vanno detratti circa 24.000 alloggi popolari, esclusi dal trasferimento. Non è tutto, perché Palazzo San Giacomo cederà allo Stato tre caserme. Sono tra Marianella e Ponticelli, il valore complessivo è di 3 milioni, e non sono destinate al Fondo Napoli. Da Invimit, invece, incasserà 13,1 milioni. La somma è pari, appunto, al 30% del capitale del fondo. Si ricava dal totale stimato (43,6 milioni) degli iniziali immobili da conferire nell’operazione.
Tra i primi sei beni da assegnare progressivamente, spicca la Galleria Principe di Napoli. Ma troviamo anche parte del Palazzo Cavalcanti, i depositi Anm di Posillipo e del Garittone, l’ex Villa Cava a Marechiaro. C’è anche parte dello stabile in Via Egiziaca a Pizzofalcone, tempo fa sgomberato da famiglie in odor di camorra. Baretta ha messo subito le mani avanti. “L’obiettivo strategico – ha detto – è la valorizzazione, viene prima di qualsiasi ragionamento sulla eventuale cessione. Non partiamo per fare cassa“. Non si parte, ma ci si può arrivare. Per fare un “esempio clamoroso“, l’assessore ha specificato: “È anche inutile che discutiamo se la Galleria Principe è privatizzabile, non lo è, punto”. Secondo lui “nessun valore economico è paragonabile” a quello “storico, simbolico e identitario di un bene come questo, lì si tratta di entrare in un’ottica di miglioramento e valorizzazione”. E anche sul termine ‘valorizzare’, ci sarà da chiarire. Poi Baretta ha provato ancora a tranquillizzare. E si è lanciato in uno slalom di distinguo e precisazioni. In Galleria, per dire, “ci sono destinazioni di carattere sociale che intendiamo mantenere, come anche soggetti che hanno contratti di affitto o assegnazioni”. Per Palazzo Cavalcanti, in via Toledo, non è contemplata “la parte oggi occupata dall’ufficio cultura“. Sul palazzo di Pizzofalcone ha pesato il rischio “di essere rivandalizzato”. Ci abita in fitto una ventina di nuclei familiari, estranei alla camorra. “So – ha riferito l’assessore – che molti di loro hanno manifestato disponibilità all’acquisto dell’appartamento in cui vivono“. Quanto all’immobile di Marechiaro, “allo stato attuale è un rudere“. Ma di gran pregio, come gli altri finiti al Fondo Napoli.