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Non solo incuria, con la conseguenza di malattie e parassiti. A Napoli gli alberi muoiono anche per mano dell’uomo. “Il problema è reale, molto diffuso ed è un problema di civiltà” racconta Roberto Braibanti, tra i maggiori ambientalisti italiani ed esperto di riforestazione urbana e suburbana. Parliamo di alberi che “seccano perché gli viene versato qualcosa nelle radici, o addirittura tagliati”. Volendo abbozzare una statistica, “ogni 15 alberi ce n’è uno che ha qualche problema, soprattutto quando sono piccoli”. Le cause possono variare. L’esperto individua un “50% di dolo” e altrettanto di colpa, magari di menefreghismo. Spesso sotto accusa finiscono gli esercizi commerciali. “Non c’è niente che può essere provato” premette Braibanti. “Però certo è molto sospetto – aggiunge – che a seccare o ad essere tagliati siano alberi che si trovano alcune volte davanti a certi negozi”. Sarà una coincidenza sfortunata, forse.  Secondo le ricostruzioni, talvolta il guasto si produrrebbe a causa delle pulizie. “Molto spesso – spiega l’ambientalista – lavano col sapone le cose della loro attività commerciale, poi fanno andare a finire acqua, sapone e magari disinfettante negli alberi che regolarmente seccano“.

In teoria, ogni danno sarebbe da sanzionare con una multa di 500 euro. Come prescrive il regolamento comunale. Ma quasi non si ricorda di trasgressori scoperti. Alla memoria torna un esercente di via Cilea, al Vomero. E non molto altro. “La questione è che a Napoli mancano i controlli, nessuno controlla nulla” sottolinea Braibanti. E “non solo per gli alberi” rimarca. Eppure il fenomeno esiste, ed è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia “la gente difficilmente si espone – afferma l’ambientalista -, anche quando vede le cose, per non avere rotture di scatole”. Restano i volontari a denunciare il malcostume. Ci provano anche Braibanti e gli altri di Gea Ets, la sua associazione. Ma non può bastare. Il risultato è purtroppo evidente. È sufficiente guardare in giro, per le strade. Alle decine di fossette tombate. Colate di cemento, laddove prima c’era un albero pubblico. Ormai è una Spoon River, un cimitero del verde perduto. Succede in maniera “uniformemente diffusa su tutto il territorio”.

Anche sulla dinamica, Braibanti ha le idee chiare. C’è sempre qualcuno pronto a intervenire, con una mano d’asfalto sul pozzetto. Lesti a farsi avanti, quando un albero cade, o muore seccato. “Mettono il cemento – dice l’esperto – dove dovrebbe essere piantato l’albero nuovo”. E in “gran parte le tombature sono dovute a privati, non al Comune”. Così diciamo addio alle future piantumazioni. In tanti concorrono, nel loro piccolo, a questa strage silenziosa. “A volte – aggiunge Braibanti – sono i portieri degli stabili, per tenere pulito il pozzetto, perché magari si scocciano di vedere l’erba che cresce”. Difficile,  comunque, indovinare i motivi. Sgomberare la visuale, ‘liberare’ un’insegna o un balcone. Ma va detto: si tratta di un gesto autolesionista. Gli alberi producono ossigeno, eliminano anidride carbonica dall’atmosfera. E inoltre assorbono polveri sottili cancerogene e l’acqua piovana, depurandola prima dell’arrivo in falda. Bisognerebbe iniziare a capirlo, ma continua a mancare una cultura arborea.