Tempo di lettura: 4 minuti

L’accusa ai 4 indagati è di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, la Digos gli ha notificato la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Svolta nelle indagini sugli scontri fuori alla Rai di Napoli, lo scorso 13 febbraio. Quel giorno è andata in scena una protesta degli attivisti pro Palestina. I manifestanti protestavano contro la linea della Tv di Stato sul conflitto a Gaza. La procura di Napoli contesta agli indagati la partecipazione “unitamente ad altri soggetti, ad una violenta azione” nei confronti delle forze dell’ordine. All’opposto, i movimenti parlano di “repressione e misure restrittive a chi lotta contro il genocidio”. Per le 10 di domani, è stato indetto un nuovo presidio. Sempre all’esterno della sede Rai di via Marconi.

La ricostruzione investigativa è in una nota, firmata dal procuratore Nicola Gratteri. Prima della protesta, la polizia aveva blindato l’area. Tutti presidiati i tre ingressi della Rai. Verso 11, poi, l’arrivo di circa 250 manifestanti. Poco dopo, un gruppo di 50 dimostranti si sarebbe staccato dalla folla. “Compatti dietro uno degli striscioni – afferma la nota -, cominciava ad avanzare in direzione dell’ingresso della Rai, occupando la sede stradale con il chiaro ed inequivocabile intento di accedere alla struttura”. A quel punto il dirigente di servizio ha disposto la chiusura completa del cancello, rimasto socchiuso per consentire l’accesso dei dipendenti agli studi televisivi. “Nonostante i tentativi attuati dai personale della Digos di dissuadere i manifestanti – scrive Gratteri -, gli stessi continuavano ad avanzare compatti dietro lo striscione fino a giungere a contatto con la squadra del Reparto Mobile posta a protezione del varco”. Basandosi sui video acquisiti, la procura contesta ai manifestanti di non essersi “limitati al contatto diretto con gli operatori di polizia”. Sarebbero, viceversa, avanzati ancora. “Fino a comprimerli con forza contro la cancellata, utilizzando la così detta “spinta di massa””. In quegli attimi si sarebbe consumata la resistenza a pubblico ufficiale.

Gli attivisti coinvolti avrebbero sferrato calci e pugni agli agenti. I poliziotti, dal canto loro, “tentavano di non restare intrappolati contro la recinzione metallica”. Durante i primi incidenti sono sopraggiunte altre due squadre del Reparto Mobile, in supporto ai colleghi. La mossa tuttavia non avrebbe scoraggiato i dimostranti. Secondo gli inquirenti, anzi, “hanno assunto una condotta ancora più violenta”. E non riuscendo ad accedere all’interno, “hanno compresso nuovamente contro la recinzione metallica gli agenti rimasti schierati”. Le forze dell’ordine sarebbero state colpite con aste di bandiera e caschi da motociclista. Inoltre, dalle retrovie altri manifestanti avrebbero lanciato oggetti contundenti, tra cui “pietre di notevoli dimensioni, sanpietrini, vari oggetti metallici e vernice rossa”. Il bilancio è stato di diversi feriti tra le fila degli agenti e degli attivisti, oltre ad un fotoreporter. Danneggiato anche materiale in dotazione ai reparti inquadrati, quali scudi e divise.

Gli indagati sono stati identificati attraverso i filmati effettuati dalla Scientifica. Sono militanti del Laboratorio Politico Iskra, del movimento Disoccupati 7 Novembre e dei SI Cobas di Napoli. In un comunicato, le sigle replicano alle accuse. “Quel giorno – si legge – la polizia caricò violentemente chi manifestava contro la censura e le mistificazioni dei media, ferendo in maniera grave diverse persone”. I manifestanti parlano di un “tentativo di criminalizzare un presidio molto partecipato che contestava legittimamente l’utilizzo politico della tv di Stato in favore dello stato di lsraele”. Si denuncia un “clima internazionale di tendenza alla guerra, mentre è in atto il genocidio del popolo palestinese”. E si punta il dito contro “l’escalation repressiva ai danni di chi solidarizza con i popoli, lotta, alza la testa e si oppone alle politiche guerrafondaie del governo Meloni e alle conseguenze della economia di guerra”.