Tempo di lettura: 7 minuti

Napoli – Raffaele La Capria, scomparso oggi all’età di 99 anni – avrebbe raggiunto i 100 il prossimo ottobre – era diventato nel tempo un punto di riferimento, per quel che ha scritto e per quel che ha continuato a dire, specie per molti giovani che lo indicavano come significativo per la propria formazione e scelte. Questo per la sua lucidissima longevità, ma anche per il suo percorso intellettuale e artistico, con quel lento trasformarsi da narratore in saggista, in aforista curioso, ironico, spesso controcorrente nelle sue limpide riflessioni e confessioni, mai conclusive, non senili perle di saggezza irrequiete e ansiose, che paiono placarsi nella scoperta e contemplazione della bellezza, ma sempre senza disconoscerne l’illusorietà e con una grande attenzione alla pulizia e intensità della lingua.

”Si sono rovesciate le parti: una volta erano i vecchi a garantire per i giovani, mentre oggi accade il contrario e mi pare un segno positivo, un modo per non interrompere quella catena che fa da congiunzione tra le diverse generazioni e garantisce la vitalita’ di una cultura”, amava commentare, proprio lui che da quarantenne, quando uscì ”Ferito a morte”, il romanzo che lo rivelò e gli dette improvvisa notorietà, vincendo tra l’altro il Premio Strega 1961 per un solo voto di differenza, si ritrovò contro molta parte dei nomi importanti del mondo letterario mentre da subito furono i suoi coetanei, i più giovani a sostenerlo fortemente, conquistati dalla novità dello stile, da quella sua ricerca che trovava terreno fertile in quel periodo, alla viglia della nascita del Gruppo ’63’.

E dopo lo Strega in quegli stessi anni è arrivato il Leone d’oro a Venezia per la sceneggiatura di Mani sulla città dell’amico Francesco Rosi, anche in questo caso una storia di denuncia. E’ accaduto così che per moltissimo tempo lo scrittore venisse spesso ricordato quasi fosse autore di solo questo fortunato e discusso libro, frutto di una crisi personale e generazionale. Racconto di formazione tutto raccolto nell’arco di una giornata nel mare e l’estate della sua città, la Napoli popolare e borghese del dopoguerra ‘‘che ti ferisce a morte o ti addormenta, o tutte e due le cose assieme” e da cui ci si libera solo attraverso una lenta, sorvegliata educazione intellettuale che porti al necessario riscatto. Si narra una situazione di disagio, con sé e con gli altri, tutti come prigionieri di un gorgo, del cerchio che compie impazzito il motoscafo prima di inabissarsi nel finale, vittime della ”Grande Occasione Mancata”, come la spigola sfuggita all’arpione che passa lenta quasi a portata di mano, metafora che apre non a caso il romanzo. Abile miscelatore di generi e forme, La Capria sorveglia e tiene a bada tutto con la sua prosa limpida, con una scrittura chiara e sapiente fertile di immagini che pian piano lo porta a abbandonare la parte più apparentemente narrativa che non pubblicava più da molto tempo. Dopo ”Amore e psiche” del 1973 – rifiutato a posteriori perché troppo intellettuale, senza vita – e la raccolta di tutti i suoi racconti col titolo ”Tre romanzi di una giornata” del 1982) ecco che la sua scrittura si fa più esplicitamente saggistica, ma senza mai perdere quel tanto necessario di affabulazione e confermando l’intima vena di poeta, tanto che lui stesso definiva ”Ferito a morte” non un romanzo ma un poema in prosa. Nascono così le ”False partenze, esemplari sin dal titolo per tutta la produzione a venire , che pare nascere con l’intento di raccontare pensieri, di essere aperto alla curiosità su cui riflettere senza dimenticare l’illusorietà delle illusioni, a cominciare dalla necessaria, stupefacente seduzione della bellezza (è del 2018 il libretto ”Il fallimento della consapevolezza”), con un’attenzione, sorvegliatissima ai sentimenti che ritroviamo in particolare nelle brevi, straordinarie prose de ”L’amorosa inchiesta” del 2006. ”Voglio che quel che scrivo sia accessibile alla maggior parte delle persone, e cerco di non far sentire al lettore l’autorita’ intellettuale incombente di chi sta riferendo propri pensieri – spiegava in occasione dei 90 anni a Silvio Perrella – Anche per questo intervallo le riflessioni con racconti sullo stessa tema, cercando di rendere in qualche modo il senso di una verità”. Nato l’8 ottobre 1922, Raffaele La Capria, dopo essersi laureato in giurisprudenza all’Università di Napoli nel 1947 e dopo aver soggiornato in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, nel 1950 si è trasferito a Roma. Ha frequentato a Harvard l’International Seminar of Literature nel 1957 ed è stato per anni stimato collaboratore delle pagine culturali del Corriere della Sera. Dal 1990 è stato condirettore della rivista letteraria ”Nuovi Argomenti”. Nel 2005 gli fu attribuito il Premio Viareggio per la raccolta ”L’estro quotidiano”, dopo aver avuto nel 2001 alla carriera il Premio Campiello e nel 2002 il Premio Chiara. Accanto all’attività di scrittore e intellettuale ha anche fatto a lungo lo sceneggiatore per il cinema, dopo Mani sulla città di Rosi per tanti altri film che hanno fatto epoca da ”Uomini contro” a ”Cristo si è fermato a Eboli”, da”Sabato, domenica e lunedì” della Wertmuller a ”Una questione privata” di Alberto Negrin, partendo dai ”Leoni al sole” di Caprioli del 1961, l’anno in cui conobbe l’adorata moglie, l’attrice Ilaria Occhini, scomparsa nel 2019.

Era una delle voci più significative della letteratura italiana del secondo ‘900, Raffaele La Capria, che avrebbe compito 100 anni a ottobre si è spento questa notte nell’ospedale romano Santo Spirito. Nato a Napoli nel 1922 e dal 1950 che viveva a Roma. Nel 1961 aveva vinto il Premio Strega con “Ferito a morte”, ritratto di Napoli e di una generazione seguita con complessi sbalzi temporali lungo l’arco di un decennio. Ha ricevuto per la sua carriera il Premio Campiello (2001), il Premio Chiara (2002), il Premio Alabarda d’oro (2011) e il Premio Brancati (2012). Nel 2005 aveva vinto il Premio Viareggio per la raccolta di scritti memorialistici. “L’estro quotidiano”. Con la sua opera di narratore, La Capria ha raccontato i vizi e le virtù della sua Napoli, dove era nato il 3 ottobre 1922. Oltre che scrittore, La Capria è stato giornalista, collaboratore di diverse riviste e quotidiani tra cui “Il Mondo”, “Tempo presente” e il “Corriere della Sera” e dal 1990 era condirettore della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”. Trascorse lunghi periodi in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, per poi stabilirsi a Roma. Ha collaborato con la Rai come autore di radiodrammi e ha scritto per il cinema, co-sceneggiando molti film di Francesco Rosi, tra i quali “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970) ed ha collaborato con Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film “Ferdinando e Carolina” (1999). La Capria è stato sposato con l’attrice Ilaria Occhini, scomparsa il 20 luglio 2019, che era nipote dello scrittore Giovanni Papini. Dalla moglie ha avuto la figlia Alexandra La Capria, ex moglie di Francesco Venditti con il quale ha avuto due figli. È autore di numerosi romanzi, tra i quali “Un giorno d’impazienza” (1952), “Amore e psiche” (1973), “La neve del Vesuvio” (1988), “L’amorosa inchiesta” (2006); saggi, quali “Letteratura e salti mortali” (1990), “L’occhio di Napoli” (1994), “La mosca nella bottiglia” (1996), “Napolitan Graffiti” (1998), Lo stile dell’anatra (2001) e il saggio-intervista “Me visto da lui stesso. Interviste 1970-2001 sul mestiere di scrivere” (2002). Ha anche tradotto opere per il teatro di autori come Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau, T. S. Eliot, George Orwell.