La movida sarà pure fastidiosa per i residenti del Centro Storico, ma c’è di che consolarsi: il valore delle case aumenta, grazie al il prestigio della zona. Anche con questa motivazione, la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il ricorso contro i proprietari di un immobile, adibito a locale notturno da una società affittuaria. E ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale una coppia di ricorrenti, esasperata dal fracasso, si era vista accogliere parzialmente il reclamo. Il Tribunale di Napoli aveva condannato la società locataria, non costituita in giudizio, a una serie di prescrizioni. Questo però solo sulla carta: la srl semplificata è stata già chiusa. Quindi resteranno “grida manzoniane”, ad esempio, l’ordine di insonorizzare le superfici del locale, di installare un limitatore digitale, di sostituire l’impianto acustico con altro di potenza massima 100 watt. Per non parlare del risarcimento. Il tribunale aveva liquidato in favore dei coniugi, quale danno morale, la somma di 6.500 euro a testa. La sentenza d’appello ha riconosciuto, in teoria, anche il danno biologico. E ha specificato che il danno morale, quantificato in precedenza, risulta inadeguato rispetto alla sofferenza patita per i quattro anni di immissioni. Ma recuperare tali somme sarà molto difficile, se non impossibile. Una beffa.
La coppia di residenti al primo piano, viceversa, si è vista dare torto nei confronti dei proprietari dell’immobile sottostante. Gli ha anche dovuto rifondere le spese processuali. Nel ricorso in appello i coniugi, assistiti dall’avvocato Gennaro Esposito, hanno sostenuto che i locatori erano consapevoli dell’inadeguatezza a contenere le immissioni rumorose. Inoltre, le estese dimensioni del locale, e la conseguente massiccia presenza di clienti, avrebbero dovuto sconsigliare un fitto dell’immobile senza averlo preventivamente munito di adeguati presidi di insonorizzazione. Doglianze non accolte dalla seconda sezione civile della Corte d’appello. Il collegio ha richiamato l’orientamento “incontroverso” di dottrina e giurisprudenza. “Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose – argomenta il verdetto – non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile di luogo in luogo secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti“. Considerazioni preliminari, per giungere al nodo di fondo. Al Centro Storico “si svolge una parte del divertimento e della vita sociale della città di Napoli”. La zona “risulta infatti caratterizzata da un’elevata densità antropica anche a notte fonda”. La conseguenza è “che soprattutto in tale fascia oraria, normalmente destinata alla quiete ed al riposo, non soltanto le immissioni superiori alla norma, ma anche il semplice chiacchiericcio a voce alta per la strada può diventare fonte di disturbo per i residenti, trasformando un comportamento lecito in un comportamento contrario alle più elementari regole di buona educazione e civile convivenza“.
Insomma, l’affollamento dell’area eleva la soglia di rumore, a prescindere dalla musica nei locali. Così va al Centro antico. Ma c’è un rovescio della medaglia, per il fastidio degli abitanti. “Per converso, va tuttavia considerato – afferma la sentenza – che alla scarsa vivibilità degli immobili ad uso abitazione situati nelle zone dove si svolge la cosiddetta ‘movida’ pur gravosa per i residenti, corrisponde solitamente l’incremento del valore economico degli immobili stessi in virtù del prestigio della zona e del quartiere in cui sono situati“. In pratica, la movida toglie e la movida dà. Ma non tutti sono d’accordo. “Questo pronunciamento della Corte d’appello – commenta l’avvocato Esposito – lascia spazio a proprietari speculatori, che affittano senza assumersi nessuna responsabilità talvolta immobili inidonei a svolgere attività di somministrazione o addirittura di discoteca, lucrando affitti stratosferici per poi vincere pure in tribunale, esenti da ogni responsabilità, lasciando quindi tutti i debiti nei confronti del povero cittadino che ha avuto l’ardire di fare causa, con tutte le spese“. Perché, e il fenomeno non pare isolato, “puntualmente queste società sono scatole vuote che poi chiudono e se ne vanno” dice Esposito, anche presidente del Comitato Vivibilità Cittadina. “Poi – aggiunge il legale – dopo si rifitta e si comincia tutto daccapo, con questi cittadini abbandonati a loro stessi“. Pure qui, non una novità.