I calzettoni abbassati, parastinchi neanche l’ombra, quel provare a dribblare il 3 come ne andasse della vita, con le scarpette nere sporche di fango e gesso, che sulla linea del fallo laterale ci passavi più o meno tutti i novanta minuti in attesa di mettere il pallone giusto per il tuo centravanti, quello con il nove cucito sulla schiena.
Khvicha Kvaratskhelia è un’ala destra senza tempo rimasta in qualche maniera imprigionata nel calcio moderno, vittima di quella mania che trasforma i vecchi numeri 7 in esterni a piedi invertiti, massacrando la lirica a ritmo di trap.
Un fuoriclasse? No, non ancora.
Lo diventerà ?
Non è dato sapere, ma per averne certezza in un senso o nell’altro dovremo aspettare che Khvicha sia inserito in un sistema che ne possa esaltare le caratteristiche, lontano dalla piatta mediocrità che accomuna la Nazionale Georgiana e l’ultimo Napoli, perché quello che vinceva le partite da solo indossava la numero dieci e proprio di questi tempi, trentotto anni fa in Messico, sanciva la demarcazione netta tra uomini e Dei.
Senza il supporto tecnico tattico di un terzino sinistro e di una mezzala, Rui e Zielinski, troppo facile raddoppiarlo e triplicarlo, togliergli aria e campo costringendolo a battaglie dal triste sapore Donchisciottiano, facendolo apparire agli occhi del mondo per quello che non è e mai sarà, un calciatore normale.
Parliamoci chiaro, il Napoli potrebbe rinunciare a tutti, nessuno escluso, anche al suo 77, al super eroe delle nuove generazioni.
Noi siamo cresciuti con Diego mentre abbiamo iniziato a veder brillare gli occhi dei nostri figli non appena il pallone finiva lì, sulla sinistra, quando il ragazzo venuto da lontano iniziava ad inventare pallone con quell’andatura ciondolante che ai più vecchi non poteva che ricordare George Best e Gigi Meroni.
100 milioni, 120.
Gudmunsson Gyokeres Chiesa, per dirne una.
Un attimo dopo non ci sarebbe più il passato, ma solo il futuro, ed anche il Georgiano diventerebbe un poster ingiallito nella nostra memoria, una maglia riposta in un cassetto per far posto ai nuovi arrivati, il calcio moderno non ha memoria e non ha posto per i ricordi, mastica e sputa, senza concedersi il tempo di girarsi indietro.
Sopravviveremmo alla cessione del Georgiano, certo che sopravviveremmo.
Potrebbe nascere un Napoli forse addirittura migliore, più forte.
Ma il punto è ancora un altro.
Ed è quello che stabilisce la linea di contatto tra la logica e le emozioni, la razionalità con il diritto di poter sognare.
E se la logica ci parla inequivocabilmente del fatto che tutti abbiano un prezzo l’irrazionalità dei sentimenti non può che concepire unicamente la prospettiva che il numero 77 rimanga esattamente lì dove è adesso, con la maglia Azzurra addosso, scrollandosi di dosso il fango e la polvere della scorsa stagione pronto a lottare per andare a riprendersi quel pezzo di storia che dopo l’anno scorso è andato in qualche modo perso.
McBlu76