La circostanza è l’allenamento di una squadra di calcio speciale, quella composta da bambini fuggiti dalle guerre e da coetanei italiani. A prendere la parola un ospite d’eccezione, il difensore del Napoli Juan Jesus, al centro nelle scorse settimane di un presunto caso di razzismo con protagonista il centrale dell’Inter Francesco Acerbi, poi assolto da ogni accusa dalla giustizia sportiva.
Il calciatore brasiliano prende il microfono e si commuove mentre rivolge il suo messaggio ai più giovani parlando del razzismo nel calcio. “Prima di tutto voglio essere esempio per i miei figli – ha detto Juan Jesus stringendo a sé suo figlio.
Nella mia carriera ho sempre provato a essere una persona pulita. Quello che è successo a me è stata una brutta cosa, ho fatto quello che dovevo fare, purtroppo è andata come è andata.
Sapevo come sarebbe andata a finire. Nel calcio si può vincere, si può perdere, ma preferisco vincere qualche trofeo in meno ma essere un esempio per i bambini”.
L’iniziativa “Alleniamoci per la Pace”, organizzata da Arci Mediterraneo per dare un calcio al razzismo e alla guerra, si avvale del patrocinio della comunità afgana, della comunità ebraica, della comunità ucraina e gode del sostegno delle varie comunità arabe e africane del territorio di Napoli. Il tutto si è svolto al centro sportivo Kodokan di Piazza Carlo III.
Alla realizzazione dell’evento hanno collaborato Eventi Sociali APS, la Scuola Calcio Asd Petrarca di Napoli, con i bambini e le bambine dell’Educativa Territoriale Arci di Borgo Sant’Antonio Abate, Antinoo Arci Gay e il Kodokan di Napoli.
Solo dai giovanissimi – è stato sottolineato – può fiorire la pace di domani e chi scende in campo sa già cos’è la guerra, nonostante la giovanissima età. Tra i protagonisti di questa giornata c’era Anhelina, 9 anni, (ne aveva 8 quando è arrivata in Italia), originaria di Ivanofrankivsk, città dell’Ucraina occidentale. Anhelina non ha più notizie di suo padre dall’inizio della guerra. Lei e sua madre, Lilia, non hanno più nessuno in Ucraina perché Lilia è cresciuta in un orfanotrofio e oggi sono ospiti nelle strutture gestite da Arci Mediterraneo.
Summera, invece, arriva con suo figlio Ali dal Pakistan. Si sono lasciati alle spalle un marito e un padre violento ma non le cicatrici e i traumi fisici, frequenti e ripetuti, subiti in passato, anche loro sono ospiti dell’Impresa sociale Arci Mediterraneo, guidata da Mariano Anniciello, che opera nel terzo settore dagli anni ’90 e che dal 2013 si occupa di accoglienza per migranti nel Centro-Sud. E proprio attorno al calcio ha visto un momento importante di aggregazione costruendo una squadra con ragazzi beneficiari di progetti di accoglienza.
“Il calcio deve insegnare il rispetto, ma spesso chi dovrebbe dare il buon esempio si lascia andare a comportamenti ignobili.
Questi bambini vogliono dare una lezione anche a chi, sui campi di Serie A, non comprende l’importanza del proprio ruolo e la gravità di un atto di razzismo – dice Mariano Anniciello -. I nostri piccoli vogliono dire che la pace crea opportunità di crescita e armonia. Attraverso il calcio, impariamo che la vera vittoria non è quella che si ottiene sconfiggendo un avversario, ma quella che si conquista collaborando per un obiettivo comune.
Questi bambini allenano i propri valori e costruiscono ponti invece di muri. Ogni volta che scegliamo di rispettare e apprezzare le differenze – conclude – stiamo facendo un passo verso un mondo migliore”.