Napoli – Tre, due, uno: ciak! L’ultimo atto (nonostante ci sia ancora una partita da giocare) si è girato ieri. Teatro lo stadio Diego Armando Maradona di Napoli. Attore principale Lorenzo Insigne, in un film di Aurelio De Laurentiis. Il presidente è stato il vero regista dell’addio del capitano, perché è inevitabile che se si è giunti alla separazione i pezzi del puzzle non sono andati tutti al loro posto.
Si chiude senza lieto fine la favola del ragazzo di Frattamaggiore, dal 2006 al Napoli, facendo la trafila nel settore giovanili fino al debutto in prima squadra datato 24 gennaio 2010. I prestiti alla Cavese, al Foggia e al Pescara, tappe necessarie per crescere, maturare esperienza e dimostrare di potersi meritare un posto nella squadra del cuore. Il ritorno all’ombra del Vesuvio da protagonista nella stagione 2012/13, il vero inizio dell’avventura di Lorenzo Insigne con il Napoli.
Si chiude con 436 presenze e 121 reti, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana e il cruccio di non essere riuscito a regalare lo scudetto alla sua gente. Non ci saranno altre occasioni, il futuro lo porterà lontano, precisamente in Canada per indossare la maglia del Toronto.
Un addio annunciato, consumatosi ieri in uno stadio gremito a fare da cornice al grande saluto. Il quadro donato da Koulibaly, la maglia da Mertens e quella coppa dal sapore di beffa ricevuta dalle mani di Aurelio De Laurentiis. Scene da libro cuore, peccato che la favola del ragazzo cresciuto con il mito di Maradona si chiuda senza un vero lieto fine.
A Napoli e al Napoli mancherà proprio questo più che l’Insigne calciatore. Mancherà il simbolo, l’icona di un calciatore in grado di realizzare il suo più grande sogno, diventando punto di riferimento e capitano della squadra per la quale ha sempre tifato. In una piazza che dispensa amore, basti pensare che nel cuore della gente sono rimasti giocatori tecnicamente meno dotati come Montervino e Montesanto, mancherà il giovane che si è fatto uomo rincorrendo e realizzando la sua ambizione più grande.
La partenza di Insigne, insomma, è la rinuncia a un ideale, a un simbolo. Una bandiera, una delle ultime in un calcio privo di sentimenti, ammainata con troppa fretta da un presidente che ieri ha messo in atto quello che è sembrato uno dei sui cinepanettoni. Se le cose sono andate così vuol dire che qualcosa si è rotto in passato, che qualcuno non ha voluto fare un passo verso l’altro. E allora è inevitabile pensare che quello andato in scena ieri sia stato uno spettacolo costruito ad arte. L’ultimo atto per salutare il ragazzo che incarnava la speranza per molti giovani. “Goodbye Lorenzo“, dopo 16 anni il finale più giusto sarebbe stato chiudere la carriera in azzurro.