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NAPOLI – Pomeriggio di oggi. Palazzo Gravina, facoltà di architettura. Presentazione del libro di Umberto Ranieri “Napoli e i suoi dilemmi” (in realtà, in libreria già dallo scorso autunno: particolare forse non secondario). Girotondo riformista. In platea (da Aldo Cennamo a Gennaro Mola, da Alfredo Mazzei a Nicola Tremante fino ad Attilio Belli) e lungo il tavolo dei relatori (tutti maschi ma tant’è): il direttore del dipartimento Michelangelo Russo, Paolo Macry, Pasquale Belfiore, Franco Mariniello, Umberto Ranieri e il sindaco Gaetano Manfredi.

In questo scenario, si consuma il Good bye, Lenin! del riformismo napoletano nei confronti del Governatore Vincenzo De Luca: messo sullo stesso piano dal belzebù del girotondo di Palazzo Gravina, Luigi De Magistris, quando Manfredi dice che “negli ultimi 10 anni non c’è stato alcun dibattito politico attorno a Napoli”.

E quindi: per la prima volta, pur senza nominarlo, sulla scorta del libro di Ranieri, facendo una disamina storica di ciò che è stato e di ciò che eredita, il sindaco di Napoli prende le distanze dal Governatore De Luca. Avvisa che si stanno confrontando due idee, due visioni, probabilmente due gruppi dirigenti attorno al futuro del capoluogo partenopeo e della sua area metropolitana.

Andando con ordine. Sostiene Manfredi che i mali di Napoli siano 3: il conservatorismo, il localismo e gli stereotipi. Sarà, in particolare, parlando del secondo che ogni parola che pronuncia rimanda a De Luca.

Ma comunque. Il ragionamento del primo cittadino è questo:

“Ci chiediamo perché certe cose accadano solo qui. Beh, Napoli è una città conservatrice, ha paura dei cambiamenti. Anche all’Università, da Rettore, ho avvertito questa sua caratteristica. Soprattutto la borghesia, rispetto ad altre realtà, qui si caratterizza anziché per il dinamismo, per il suo immobilismo che spesso la porta addirittura a contrastare i cambiamenti”.

Questo “immobilismo culturale”, per il sindaco, si riversa in tutti gli aspetti della vita cittadina: “Ad esempio, le aziende partecipate: mentre altrove sono diventate multiutility di peso nazionale, qui, per dirne una, Asìa fa le stesse cose che faceva 20 anni fa: raccolta e spazzamento, senza mai pensare di dover gestire l’intero ciclo dei rifiuti”.

Ora Manfredi dice di voler combattere quest’immobilismo. Ma dice anche che avverte che la situazione è già quasi precipitata: “L’amministrazione comunale, da sola, può fare ben poco. Occorre una risposta della città. Ma la città già sta diventando demograficamente vecchia: tanti giovani, che sono i portatori naturali del cambiamento, sono stati costretti ad andare via. E la demografia è come il termometro per una persona che ha la febbre…”.

E insomma: Napoli ha 38, si direbbe. Perché a questo parallelo, Manfredi aggiunge questa pillola sul “localismo”: “E’ un paradosso perché mentre abbiamo una cultura che produce i film di Paolo Sorrentino, abbiamo un dibattito, un confronto politico cittadino e regionale impregnato di localismo. Siamo sempre portati a dire che come noi non c’è nessuno, che come facciamo noi le cose non le fa nessuno e il discorso si chiude lì. Ma, evidentemente, le cose non stanno così”.

E’ qui che in sala è stato impossibile non pensare ai sermoni di De Luca contro il Governo Draghi di oggi, come a quelli contro l’amministrazione De Magistris di ieri e a quelli contro chiunque non la pensi come lui.

Ascoltare ancora Manfredi per credere: “Napoli così continuerà ad essere imprigionata negli stereotipi. Anche quando promuoviamo i nostri tesori, se lo facciamo senza innovare, serve a poco”.

Sostiene Manfredi che tutto questo “ha portato Napoli a non essere considerata affidabile”.

“Ma senza una affidabilità politica, ambientale, economica, imprenditoriale, chi scommetterà su di noi? Ricordo che anche da ministro, ogni volta che si parlava di fare qualcosa qui, c’era qualcuno che aveva da ridire, che era perplesso”.

“Per questo, la sfida riformista che abbiamo davanti è proprio questa: recuperare affidabilità. E per fare questo, bisogna passare da una visione emergenziale a una programmatica per risolvere i problemi”.

A tal proposito, altra stoccata che va dritta dritta (anche) a Palazzo Santa Lucia: “A Bagnoli, ad esempio, il vero riformismo è spezzare l’immobilismo e realizzare cose in tempi certi”.

Esattamente il tabù storico che i riformisti addebitano alla sinistra dal 1975 al governo pressocchè ininterrotto di Napoli (“sono riuscite solo in parte anche a Maurizio Valenzi e Antonio Bassolino”, dice il sindaco).

E quindi: per sfatarlo e lasciare un segno tangibile, la strada riformista che Manfredi intraprende a Palazzo Gravina è diversa da quella perseguita da De Luca. Altrimenti non ripeterebbe che “ora occorre un dibattito vero: negli ultimi dieci anni (molti dei quali caratterizzati dalle liti tra De Magistris e De Luca, ndr) è stato assente. Ora, anche se conflittuale, inteso nelle visioni diverse di sviluppo della città, serve più che mai”.