“Mio figlio era pieno di talenti e valori culturali. Poteva solo aiutare Napoli a migliorare. Uccidendo lui è come se avessero sparato a Benedetto Croce prima di scrivere un saggio di filosofia, come se avessero buttato una bomba sul Colosseo, come se avessero sfregiato le Sette opere di Misericordia di Caravaggio e lo avessero ucciso”. Così, in un’intervista a Rai News parla Daniela Di Maggio, la mamma di Giovanbattista Cutolo, il musicista ucciso ieri mattina a Napoli per uno scooter parcheggiato male.
“Napoli è diventata una città violentissima, un Far West. Tutto questo va fermato quanto prima”. E’ lo sfogo, tra le lacrime, della mamma del musicista 24enne. Il sedicenne che l’ha ucciso “non è un bambino, è un uomo brutale, un demone che va a distruggere la vita degli altri ragazzi come mio figlio”.
“Non ho ancora consapevolezza – aggiunge – di questo aspetto drammatico che è accaduto nella mia esistenza. Fino a poche ore fa avevo un talento della musica, un cornista dell’Orchestra Scarlatti, una persona amata da tutti, un ragazzo a cui abbiamo dato tanti valori e lui, per un parcheggio, è stato ucciso. L’ho visto: aveva il volto tumefatto, un proiettile nel petto”. E’ il racconto tra le lacrime a Rai News di Daniela Di Maggio, la mamma di Giovanbattista Cutolo, il giovane di 24 anni ucciso da un sedicenne per un parcheggio. La donna si rivolge alle istituzioni “alla presidente Meloni, al presidente Mattarella: chiedo di essere chiamata, mi accolgano per dire la mia su queste brutalità che noi, che siamo nel basso di questa società e che viviamo in questo mondo, conosciamo molto di più di chi ci comanda. Voglio alzare la mano e dire tutte le cose che vanno assolutamente cambiate”. “Sono senza parole, questa cosa di un sedicenne che ha sparato a mio figlio non la posso proprio accettare. Perchè se a 16 anni esci con un’arma funzionante hai contezza del dramma che stai creando attorno a te. Faccio un appello a tutte le istituzioni. Bisogna assolutamente cambiare le leggi, per tutti i ragazzi che restano, per tutti gli amici di mio figlio, per i figli delle altre persone che non meritano certo – sottolinea la donna – di essere uccisi da una persona che non ha valori”. Giogiò, come era chiamato il giovane, “amava il bello, l’arte, aiutava i suoi amici. Ma, come disse Bennato, Napoli è fatta di tante Napoli. L’altra notte si sono incontrate due Napoli, quella di mio figlio e quella del sedicenne, che non si appartengono, che non si somigliano perchè la Napoli di Giogiò è una Napoli che si alimenta di pane e tik tok o di orrori. Pensiamo all’arte e alla cultura: sono questi i valori che dobbiamo dare ai nostri ragazzi”.