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Il Mezzogiorno – con Napoli e la Campania capofila – si spopola, e Adriano Giannola punta il dito: la responsabilità è dei “governi centrali”.
Il presidente Svimez, l’associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, parla dell’ultimo report dell’Istat: tra 2012 e 2021, l’esodo dal Sud verso il Centro Nord è di 525mila residenti. Il 30% delle cancellazioni riguarda la Campania, Napoli conta 17mila unità in meno. “Dagli anni ottanta in poi – rileva l’economista-, con la questione settentrionale si è arrivati a espungere il Mezzogiorno dalla Costituzione, nell’articolo 119, dopo la riforma, non c’è più scritta questa parola. C’è un modello di federalismo solidale che vediamo come lo interpreta il ministro Calderoli: tutt’altro che solidale”.

Come si è arrivati a questo?
“C’è una crisi intellettuale di capacità di analisi e di innamoramento e di slogan che si sono rivelati futili. Il fatto che noi eravamo un modello adatto alla globalizzazione con i suoi distretti industriali: fallimentare. Oppure che eravamo un modello in cui lo Stato non deve programmare, ma deve fare l’arbitro e non il regista: pure questo fallimentare. Oggi o il governo fa chiaramente un’analisi e, altro che dare l’autonomia, deve porsi lui dei problemi di raggiungere degli obiettivi, imponendo che questi obiettivi siano tradotti a livello territoriale in modo adeguato”.

In termini pratici?
“Per esempio: tutto il sistema dei porti meridionali va rivitalizzato e reso strategico. Questo è l’unico modo in cui l’Italia diventerà protagonista del Mediterraneo. Non è un fatto di Nord e sud, è un fatto di evidenza fisica. C’è una responsabilità enorme di chi è al governo che o ha portato il cervello all’ammasso o è succube di un’ideologia stupida, che evita di programmare. Col Pnrr si trova 209 miliardi da spendere e non sa come spenderli, e non ci riuscirà a spenderli se non si dà una regolata molto rapidamente. E soprattutto che li spenda per gli obiettivi giusti, che sono quelli di rimettere in moto tutto il Paese. Che non può essere far finta di fare ferrovie che non sono ad alta velocità, far finta di fare le Zone economiche speciali, che sono ognuna una cosa isolata e non un sistema governato dall’obiettivo di diventare l’hub della logistica e del commercio della nuova globalizzazione: non più il Northern Range di Rotterdam e Amburgo, ma accanto a quello un Southern Range fatto da Augusta, Gioia Tauro, Napoli, Bari, fino ad arrivare a Trieste e Genova”.

Si profila un’enorme occasione sprecata?
“L’ennesima occasione sprecata per cambiare rotta, per avere una strategia chiara, molto diversa e molto più dinamica e aggressiva di quella che con 209 miliardi riusciamo a mettere in campo, facendo i bandi competitivi che è un’idiozia grande come una casa. Un governo che rinuncia a programmare e a prendersi la responsabilità di dire dove deve andare il Paese, può riuscire a fallire un’occasione come questa. E la dimostrazione che si parla dell’autonomia è segno di un governo incapace: sta cedendo sovranità sui porti, sugli aeroporti, sulle reti infrastrutturali alle Regioni, incapaci – a partire dalla Lombardia – di avere una visione e di crescere, perché stanno regredendo da 20 anni rispetto al resto d’Europa. C’è una crisi cerebrale della classe politica”.

Cosa le fa rabbia?
“Fisicamente l’Italia è un bene posizionale preziosissimo nella globalizzazione, perché è il centro del Mediterraneo, cioè del quasi oceano che è il mare di frontiera della globalizzazione. E noi ce le facciamo sfuggire tutte queste occasioni. Con questo governo e con quello precedente di Draghi, non c’è stata mai una discussione sul futuro del Paese”.

Però, per la Svimez gli ultimi dati Istat non sono una sorpresa. A partire dalla situazione napoletana.
“Me lo aspettavo, anche per esperienza personale. Se penso ai conoscenti, ai loro figli, ai nostri figli: non ce n’è uno che sta stabilmente a Napoli. Sono tutti in giro. C’è una spinta particolarmente forte a emigrare. Oggettivamente Napoli è ancora una città molto potenzialmente vivace, però si sta un po’ pestando l’acqua nel mortaio”.

Se dipendesse da lei, cosa farebbe?
“Ci vuole un piano del lavoro nazionale, che parta dai porti, dalle strade, dalle infrastrutture, come negli anni cinquanta del novecento. Un piano per rimettere in moto, e per dare prospettiva e fiducia. Altro che abolire il Reddito di cittadinanza, qui si tratta di evitare che ci sia bisogno del Reddito di cittadinanza. E non c’è verso, non è che lo faranno i privati: serve un strategia pubblica, che esplicitamente si ponga questo obiettivo di sviluppo nazionale. Non è assistenza o aiuto al Sud, ma è capire la missione dell’Italia: essere protagonisti nel Mediterraneo. Ma questo vuol dire lavoro, investimenti, e scelte politiche di fondo”.

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