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NAPOLI – Hotel Terminus, piazza Garibaldi. Un anno fa. Sala conferenze all’ultimo piano affollatissima. Giornalisti, operatori, collegamenti in diretta.
 
E’ il quartier generale del centrosinistra delle 13 liste volute da Gaetano Manfredi che andrà a vincere le elezioni comunali con il 62,88% dei consensi.
 
Già nel tardo pomeriggio inizia la corsa dei big nazionali e regionali per stringere la mano al nuovo sindaco di Napoli e, pro quota, mettere il cappello sulla sua affermazione.
 
Ad un certo punto, si ritrovano nella stessa inquadratura, da destra a sinistra, Luigi Di Maio, Peppe Provenzano, Gaetano Manfredi, Vincenzo De Luca e Roberto Fico. Tutti col pollice all’insù, a fare il segno della vittoria.
 
Un anno dopo, fa un certo effetto rivederla.
 
Di Maio era il ministro degli Esteri del governo Draghi in quota Movimento 5 Stelle. Da tempo era in rotta con la parte dei grillini più vicini a Giuseppe Conte, ma nessuno poteva ancora prevedere la scissione. E, un anno dopo, perse le elezioni con la sua lista Impegno civico, il rischio di uscire definitivamente dal giro buono.
 
Peppe Provenzano era il vicesegretario del Partito Democratico ed era corso a Napoli per sottolineare che il campo largo con i grillini si confermava garanzia di vittoria. Enrico Letta andava all’incasso, in quel turno elettorale. Nessuno ancora poteva immaginare la rottura traumatica dell’alleanza giallorossa con la caduta del Governo Draghi.
 
Alla sinistra di Manfredi, c’era anche un raggiante Vincenzo De Luca. Con le sue liste aveva contribuito anche lui all’affermazione dell’ex rettore della Federico II. E già non gli faceva specie farsi ritrarre assieme ai grillini, che erano stati per mesi e mesi al centro delle sue critiche, per utilizzare un eufemismo. Tant’è che, un anno fa, già c’era qualcuno che ipotizzava la loro entrata in giunta regionale. E comunque: De Luca aveva fatto intendere solo qualche settimana prima di voler dire la sua anche se ci fosse stata la possibilità di scalare il Pd. Nessuno ancora poteva ipotizzare che con Enrico Letta potesse ricucire tanto da garantire a suo figlio Piero (stamattina a colloquio con Manfredi, con cui ha tenuto a far sapere che c’è “piena sintonia”) un nuovo posto al sole blindatissimo tra le fila dem.
 
Accanto a lui, un anno fa, Roberto Fico, presidente della Camera che si preparava ad affrontare la partita del Quirinale da lì a qualche settimana. E ora, pur senza un ruolo parlamentare, dopo lo strappo di Di Maio, unico vero plenipotenziario del partito di Conte laddove conta di più: a Napoli e provincia. Con occhi e speranze, quindi, riposte già sulle regionali 2025 per diventare il successore di De Luca a Palazzo Santa Lucia.
 
E Manfredi? Un anno dopo quella foto, il sindaco l’ha messa così: “E’ stato un anno impegnativo: abbiamo trovato una città praticamente in dissesto, senza personale e senza progetti per il Pnrr. Il nostro lavoro ci ha consentito di rimettere in sesto la macchina, avviare i concorsi e approvare un bilancio che comincia a garantire un minimo di manutenzione e la presentazione dei progetti per il Pnrr in grado di attirare grandi investimenti. Ora si tratta di rafforzare questo ruolo di Napoli come grande città europea, sia dal punto di vista della reputazione, che è importantissima, sia dal punto di vista politico. Sono contento di quello che abbiamo fatto, la strada è tracciata”.
 
Ma un anno dopo la foto del Terminus anche con un rimpasto di giunta all’orizzonte?
 
“Ora – è stata la risposta – dobbiamo solo lavorare”.