Gli affari non si possono fermare. È questo il diktat delle organizzazioni malavitose quando vengono a mancare alcune figure chiave. Il core business delle cosche napoletane è legato alla droga e dopo la cattura di Raffaele Imperiale e Mario Cerrone, socio e referente del boss stabiese famoso per aver acquistato due quadri di Van Gogh al mercato nero e per la sua latitanza dorata a Dubai, le cose sono cambiate.
L’arresto dei grandi narcotrafficanti ha fatto emergere la figura di un nuovo nome, quello di Simone Bartiromo (coinvolto nell’inchiesta sul clan Sorianiello del Rione Traiano e attualmente irreperibile). Insieme a un suo presunto socio di Casal di Principe (nel Casertano), Domenico Fontana – secondo quanto emerge delle pagine dell’ordinanza eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Napoli – si sarebbe occupato dell’approvvigionamento di cocaina per conto di varie organizzazioni; dal clan Cutolo al clan Mele, fino ai gruppi di Bagnoli. Cocaina in particolare, a fiumi. Una cocaina, quella Colombiana, «diversa» da quella boliviana – si legge nelle intercettazioni – “non aveva quell’odore che ti brucia il naso”.
Spyware nei telefoni
Sono dettagli che emergono dall’esistenza di intercettazioni e spyware presenti nei telefoni degli indagati che, nel corso dell’indagine, hanno trasformato i cellulari in vere e proprie telecamere portatili attraverso le quali i carabinieri hanno monitorato per mesi l’attività del gruppo. «Le utenze monitorate – scrivono gli inquirenti – risultano intestate agli stessi indagati o a loro parenti; i soggetti coinvolti nelle conversazioni si rivolgono spesso ai propri interlocutori utilizzando il nome di battesimo o comunque diminutivi e soprannomi che consentono agevolmente di identificare i protagonisti dei dialoghi captati». Da quei sistemi di intercettazione emergono decine di momenti chiave. Ci sono decine di immagini snapshot estrapolate grazie allo spyware installato sullo smartphone di uno degli indagati nelle quali si nota la stanza in cui viene gestita la piazza di spaccio dei Sorianiello, con il tavolino con la scritta laterale «99» (numero in codice per indicare il gruppo Sorianiello) utilizzato per la preparazione delle dosi, gli utensili e le macchine necessarie per il confezionamento, oltre al denaro provento delle cessioni di droga o necessario per l’acquisto dello stupefacente da Bartiromo o dal suo uomo Fontana.
Le estorsioni sugli affari illeciti
Secondo quanto ricostruito dall’Antimafia, il clan Sorianiello esercita un totale controllo sul proprio territorio e taglieggia tutti coloro che traggono profitti dalla conduzione di affari illeciti nella loro zona. Le tariffe sono fisse e oscillano tra il 25 e il 30% dei guadagni su ogni business nero. Emerge il dettaglio di una discussione nata per una mancata tangente sui guadagni derivanti da un truffa sulle carte di credito. Il truffatore viene portato al cospetto del boss: «Non la facciamo buona a nessuno, altrimenti andatevene ‘o frat’, cioè vattene proprio fuori, non vaglio sapere niente […] Io adesso ti sto avvisando, perché poi ci abbiamo da fare, domani ci mettiamo a fine mese ci devi fare il pensiero a noi. E fai quello che devi fare». Alla fine della conversazione i Sorianiello concludono il discorso imponendo al loro interlocutore il versamento di un «fiore» pari al 30% dei suoi guadagni. Minacciandolo che, in caso contrario, avrebbe dovuto abbandonare il loro territorio.