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Dalle prime luci dell’alba decine di carabinieri della compagnia di Torre del Greco stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della DDA partenopea a carico di 13 persone.
Gli indagati sono ritenuti gravemente indiziati a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, di detenzione a fini di spaccio di varie tipologie di droga e di tentata estorsione.
Nel corso delle indagini sono state accertati oltre 500 episodi di spaccio con una base logistica che partiva da Ercolano fino a coprire tutto il perimetro vesuviano fino ad arrivare a Napoli e alla penisola Sorrentina.

Spacciavano per lo più hashish, ma anche cocaina, crack e marijuana, la banda di pusher sgominata nel Napoletano dai carabinieri con 12 arresti in carcere e un divieto di dimora.  A guidare l’associazione a delinquere (gli indagati sono 41, la metà con il ruolo di spacciatori) era Raffaele Bifolco, 48 anni, ritenuto legato al clan Ascione-Papale, che la gestiva con altre quattro persone, tra cui Carlo De Maio (anche lui ritenuto legato allo stesso clan), Ciro Bifolco (fratello di Raffaele) e Vincenzo Papillo, anche loro destinatari di un arresto in carcere emesso dal gip di Napoli Nicoletta Campanaro su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea. Poi c’era la moglie di Bifolco, che ha impressionato gli investigatori per la sua capacità di assumere compiti nell’organigramma criminale anche assai diversi tra loro ma sempre con una certa naturalezza (per lei però non è stata emessa alcuna misura cautelare). La banda era composta anche di corrieri, custodi, referenti di zona, gestori delle singole piazze di spaccio (anche itineranti), vedette, “approvviggionatori” e trasformatori (coloro che trasformavano la cocaina in crack) dello stupefacente.

L’associazione a delinquere, è emerso dalle indagini dei militari dell’arma, è frutto di un accordo stipulato tra i fratelli Ciro e Raffaele Bifolco, con la moglie di Raffaele, e con l’intero nucleo familiare di Carlo De Maio. Come già accertato in precedenti indagini anche questa associazione a delinquere usava un linguaggio criptico: la droga, infatti, veniva chiamata con altri termini, come, ad esempio, ricariche, giacche, scarpe, pizze, panino, vino, sigarette, stecche e caffé. Per indicare il numero di clienti che attendevano la droga richiesta si faceva riferimento a generiche persone appiedate a cui serviva un passaggio (“sono da solo”, “siamo in due”, “siamo in tre”). A ricoprire infine il ruolo di contabile e ragioniera dell’organizzazione criminale era una donna, una 47enne, (un ruolo assunto dopo l’arresto del compagno spacciatore). La donna è risultata essere particolarmente attenta nel recuperare i soldi che gli spacciatori debitori dovevano alla banda per la droga acquistata.