Una lista di estorsioni, un “lascito ereditario” tra i clan di Caivano, di volta in volta egemoni. L’elenco è al centro dell’ordinanza di misura cautelare, eseguita oggi dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna. Su ordine del gip Ambra Cerabona, sono stati 14 i provvedimenti eseguiti (13 custodie cautelari in carcere, una ai domiciliari). Gli indagati sono ritenuti capi e gregari del clan Angelino. Tra i destinatari il 67enne Antonio Angelino, alias Tibiuccio, considerato il capoclan. Già legato all’ex superlatitante della Nco, Pasquale Scotti, l’ultimo dei cutoliani Angelino è stato catturato il 9 luglio scorso a Castel Volturno.
Ma c’è, appunto, quella lista. Secondo la Dda di Napoli, il pizzo variava da qualche centinaio di euro fino a 10 mila. Nel mirino sarebbero stati perfino i pusher del ‘Bronx’, la piazza di droga più ricca della zona. “Circostanza pacificamente emersa dalle diverse indagini espletate nonché dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – scrive il gip del tribunale di Napoli – (…) che le estorsioni venivano effettuate in danno di imprenditori inseriti in una lista che si tramandava dai diversi clan succedutisi sul territorio”. Per il giudice, questo “rende plasticamente evidente la sussistenza della aggravante contestata“, ossia quella mafiosa.
Il quadro investigativo restituisce un clima di arrendevolezza, quasi come dato storico. “Le vittime delle estorsioni erano soggetti già sottoposti a richieste estorsive da parte di precedenti clan operanti nella zona – si legge nelle carte -, di tal che anche tale aspetto di ‘continuità’ rafforzava, nelle vittime la idea di dover fronteggiare il gruppo criminale che, in quel momento operava sul territorio“. D’altro canto, “nella unica occasione emersa in cui la vittima si è opposta al pagamento“, la reazione sarebbe stata emblematica. Ciò avrebbe “determinato la violenta reazione di Bervicato Gianfranco (finito in carcere, ndr)”. L’indagato avrebbe dato “mandato al padre (non indagato, ndr) che, qualora fosse stato arrestato, avrebbe dovuto incendiare i locali dell’esercizio commerciale“. Negli altri casi? “Si è evidentemente trattato di una minaccia silente ma analogamente in grado di evocare nelle vittime la consapevolezza di aver a che fare con un contesto associativo organizzato, che ha raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere addirittura superfluo l’avvertimento mafioso“.
Nelle indagini, si ipotizzano 13 vittime delle estorsioni. Secondo gli investigatori, appunto, “imprenditori inseriti in una ‘lista” che si tramanda dai diversi sodalizi operativi sul territorio”. Tra i gruppi criminali, in pratica, ci sarebbe “una sorta di lascito ereditario”. Una racket list. “Per cui – si legge nell’ordinanza – le estorsioni vengono perpetrate in linea di massima, laddove esiste la certezza della predisposizione al pagamento dell’imprenditore”. Tale certezza, deriverebbe “dalla conoscenza, che chi prima di loro, ivi riscuoteva l’estorsione“. Un diktat perpetrato “sfruttando, la condizione di assoggettamento della popolazione, che ne costituisce il presupposto”. Ovvero “la rassegnazione al pagamento di danaro imposto dalla criminalità organizzata“. Secondo gli inquirenti sarebbero esistiti un tariffario ed “uno scadenzario relativo ai tempi”, entro cui “dovevano essere corrisposte le somme di danaro”. Cadenza mensile e “tendenzialmente il primo di mese”. La puntualità è tutto.