Respinto anche l’ultimo ricorso: confermata la condanna di Ennio Cascetta al pagamento di 369.609 euro per danno erariale. A deciderlo è stata la terza sezione centrale d’appello della Corte dei conti, dichiarando inammissibile l’istanza. La vicenda è partita anni fa, con la contestazione rivolta dalla procura regionale della Corte dei conti all’ex assessore regionale ai trasporti. Dal 1986 al 2021 Cascetta è stato professore ordinario di ingegneria alla Federico II di Napoli. Secondo gli inquirenti, dal 1° novembre 2012 al 29 settembre 2015 ha però assunto “plurimi e continuativi incarichi extraistituzionali di natura libero professionale”. Essendo docente in regime di tempo pieno, ha quindi violato la legge Gelmini in materia. Condannato in primo grado nel 2020 al pagamento di 569.640, due anni dopo si è visto accogliere in parte l’appello. Il danno erariale è stato ridotto a 369.609 euro, somma comunque considerevole.
A questo punto, il professore ha provato a riaprire una partita chiusa. Si è opposto alla condanna, già definitiva, con un mezzo d’impugnazione straordinaria. Ha cioè fatto ricorso ‘per revocazione’ della sentenza passata in giudicato. Presupposto richiesto dalle regole: un errore di fatto della sentenza, risultante dagli atti o documenti della causa. Una presunta errata valutazione dei fatti: Cascetta avrebbe svolto consulenze, consentite, e non attività libero professionale, viceversa a lui vietata. Secondo i legali del docente, a chiarirlo sarebbe stato una legge successiva al verdetto. La norma del 2023 – Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche -, avrebbe fornito una “interpretazione autentica” della preesistente disciplina. “Ad avviso del ricorrente – sintetizza la Corte – la sopravvenuta norma di interpretazione autentica (…) rivelerebbe di fatto in cui è incorso il Giudice della ‘revocanda’ sentenza”. Questo “in quanto l’erroneità della sua interpretazione della menzionata disposizione legislativa, decisiva per le sorti del giudizio di responsabilità amministrativa di cui trattasi – spiegano i giudici – , si radica nell’avere quest’ultimo individuato nel ‘fatto’ della continuità e prevalenza rispetto all’attività istituzionale, e quindi dell’abitualità e professionalità dell’attività svolta, il fondamento del divieto assoluto in ragione del suo status di docente universitario con regime di impegno a tempo pieno, di svolgimento delle attività extraistituzionali a egli contestate, mentre il Legislatore, con la invocata norma di interpretazione autentica (…), ha individuato nel diverso ‘fatto’ della subordinazione e dell’organizzazione di mezzi e di persone preordinate al relativo svolgimento il fondamento del divieto in questione“.
L’argomentazione difensiva non è stata tuttavia condivisa dalla Corte. “L’asserito ‘errore di fatto decisivo (…) – si legge – in realtà integrerebbe, a tutto voler concedere e ove effettivamente sussistente (il che non è), un errore di giudizio (dunque, un errore di diritto)”. Come tale, perciò, non rientrerebbe tra i requisiti per la revocazione. Inoltre, per alcuni elementi il collegio attribuisce a Cascetta un’attività libero professionale, e non delle consulenze. Gli “indici sintomatici esterni” sono “il numero significativo (18) degli incarichi svolti (2 anni e 9 mesi); il rapporto – scrivono i giudici – tra il reddito aggiuntivo conseguito per effetto degli incarichi svolti (euro 739.349,85 lordi) e il reddito da lavoro da egli percepito nel medesimo periodo (euro 309.470,00), risultando il primo superiore più del doppio del secondo; la titolarità della partita Iva“. In aggiunta, ritenuta inammissibile anche l’invocata retroattività della norma ‘interpretativa’. Essa, infatti, non avrebbe potuto “spiegare i suoi effetti nel giudizio”, essendo questo stato “definito con sentenza passata in giudicato”.