Se qualcuno dà fastidio, allora bisogna trovare il modo di condizionarne lavoro e attività. Nel caso del giornalista, la soluzione migliore è mettere ‘il bavaglio’. Se ne discute da un po’ e sicuramente si tratta di un tema caldo in questo momento. La condanna a 8 mesi a Pasquale Napolitano, ‘punito’ per un articolo pubblicato su Anteprima24, deve far riflettere. Una volta era ‘Quarto potere’, adesso è uno strumento di divulgazione che piace se va in una direzione, si combatte se va in un’altra.
Eppure il buon Pasquale, giornalista dalla provata esperienza, deontologicamente inappuntabile e firma di pezzi che hanno sempre lasciato il segno nella sua esperienza in questa redazione, paga per aver fatto solo, si fa per dire, il suo mestiere con un pezzo dedicato all’Ordine degli Avvocati di Nola assicurando anche il diritto di replica.
Un’inchiesta datata aprile 2020 che illustrava la situazione in seno all’Ordine, un articolo duro che illustrava la situazione in un periodo di votazioni, botta e risposta, con tanto di ‘voce’ da una parte e dall’altra. Insomma, normale amministrazione e lavoro inappuntabile di Pasquale Napolitano, leggendo sembravano esserci i presupposti per un finale del genere.
Sembrava, appunto, perchè poi è arrivata questa sentenza che lascia veramente di sasso, perchè va a crollare il presupposto del mestiere del giornalista.
Fa onestamente spavento tutto ciò e fa pensare che la sentenza, su un diritto costituzionale, sia stata emessa da un Giudice onorario di Tribunale, come riporta il Riformista, “un giudice non togato che proviene dall’Avvocatura, come i querelanti, anche se dalla stessa è stata sospesa per ricoprire l’attuale incarico”. E fa pensare che la condivisione a mezzo social sia da considerare aggravante. Tante cose che fanno storcere il naso e lasciano un senso di grossa amarezza. Un giornalista condannato per aver fatto il suo lavoro è un calcio alla democrazia ma soprattutto lascia pensare che scavare nelle situazioni non è un contributo alla verità ma pone un cronista in una situazione del genere. Pasquale Napolitano, consapevole di aver fatto tutto correttamente, è andato avanti con fiducia nonostante il preannuncio di querela. E dopo anni si è trovato questa sorpresa.
Resta amarezza. Il più delle volte, per una questione di rapporti, si cerca di dare spazio e voce a tutti. E forse questo appiattimento lavorativo fa piacere e non attira l’attenzione di chi è chiamato, poi, a dirimere le questioni. Quando, invece, si fa il proprio mestiere e si indaga su zone d’ombra o comunque su situazioni che meritano approfondimento, bisogna solo incrociare le dita. Pensare che ci sia il carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa, lascia perplessi.
Tra il diritto di cronaca e la condanna il filo è diventato molto sottile. A queste condizioni, onestamente, fare il giornalista non ha senso. Meglio essere dei maghi del ‘copia e incolla’ di comunicati. Forse non si sarà dei giornalisti, ma almeno si evita la galera e tutte le spese che si devono sostenere, specie nelle piccole realtà, in autonomia. Ma soprattutto, rimane la domanda che ronza nella testa: esiste ancora un diritto di informazione?