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L’amarezza è tanta, dopo la lettera di ‘sfratto’ del Comune di Napoli. Ma lui annuncia: “Non lascerò il bene confiscato”. Forse questa è la madre di tutte le battaglie, per Ciro Corona, fondatore dell’associazione (R)esistenza anticamorra. E dire che avrebbe pensato di lottare solo contro i clan, non contro l’amministrazione comunale.

Due anni fa è stato nominato da Mattarella cavaliere della Repubblica Italiana. Motivazione: “Il suo quotidiano e instancabile impegno nella promozione della legalità e nel contrasto al degrado sociale e culturale”. Ora Palazzo San Giacomo gli ha inviato una pec, chiedendo di restituire, entro il prossimo maggio, le chiavi del fondo rustico “Amato Lamberti”. Nel bene confiscato di Chiaiano, (R)esistenza anticamorra è dal 2012. Un tempo l’area apparteneva alla famiglia camorrista dei Simeoli, braccio imprenditoriale dei clan Nuvoletta e Polverino. Negli ultimi dieci anni, Corona e i suoi compagni hanno svolto un lavoro prezioso.

Molti ragazzi delle comunità minorili, ad esempio, hanno avuto la possibilità di lavorare, e di cambiare vita. E adesso? “Proveremo – dichiara Coronaa mandare una lettera dei legali per dire che non è giusto cambiare le carte in tavola. Ma resta il fatto che non lascerò il bene confiscato. Non ci penso proprio”. Il presidente di (R)esistenza arriva a sfidare l’assessore alla Legalità, Antonio De Iesu: “Se mi vuol portare fuori con la forza, mi deve sgomberare. E nel caso ci dovrebbe spiegare perché un bene confiscato lo sgombera in un mese, e a Pizzofalcone ci hanno messo un anno e mezzo”.

Il richiamo è alle case occupate illegalmente, in via Egiziaca a Pizzofalcone, da alcuni nuclei legati a un clan. Ma al Comune non replicano, sul caso del fondo “Amato Lamberti”. Corona contesta le ragioni della decisione. “L’amministrazione – sostiene – vorrebbe rifarsi al ‘modello casertano’ nella gestione dei beni confiscati. Mi hanno comunicato di aver cambiato progetto su questo fondo, vogliono fare una fattoria didattica con azienda di trasformazione. Ma io ho vinto il bando proprio con questo progetto di fattoria didattica, e loro non me lo danno?”.

Secondo Corona, poi, “il ‘modello casertano’ è impossibile da applicare a Napoli, perché qui il regolamento prevede un massimo di 14 anni, 7+7. Infatti io dovevo avere altri 7 anni e me l’hanno interrotto. A Caserta sono minimo 30 anni. Un’azienda di trasformazione che dovrebbe recuperare in 7 anni rende impossibile qualunque tipo di investimento e valorizzazione del bene confiscato”. E inoltre “si tenga conto che il nuovo regolamento dice che possiamo avere il rinnovo a patto che sei mesi prima si faccia richiesta esplicita. E io l’ho fatta”. Insomma, per Corona “io sto a posto, sono loro inadempienti”. Le accuse dell’attivista anticamorra sono rimbalzate anche sui social. C’è la conta dei danni: con la chiusura del fondo, “tornano in carcere 4 detenuti in affidamento; perdono il lavoro 3 detenuti borsisti e un napoletano contrattualizzato; perdono una casa il custode, 1 pony, 1 cavallo, 1 capra, 1 maiale, 1 gatto”. Morale: “Altro che Patto per Napoli. Un Pacco, un vero Pacco per Napoli”.