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Potremmo assistere all’interno dell’ambiente penitenziario a nuove modalità di sodalizi, che riguardano la criminalità tradizionale e quella straniera”. A lanciare l’allarme è Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare Antimafia. “Il carcere è un vero e proprio laboratorio” ricorda l’esponente di FdI, in videocollegamento con il convegno promosso a Napoli dall’Unione dei sindacati di Polizia penitenziaria, dal titolo ‘Carcere e criminalità 4.0’. Tra le sbarre, infatti, “si incontrano non solo diversi tipi di criminalità, ma persone con diverse nazionalità e che possono appartenere a mafie straniere”. Quello di Colosimo è “un campanello d’allarme che voglio suonare in questa sede”, sul quale “vorrei che la Polizia penitenziaria ponesse ancora di più l’attenzione”. Si tratta di “un sospetto che la commissione parlamentare Antimafia vi vuole lasciare”.

Coloosimo fa un sillogismo. “Oggi, soprattutto nelle grandi città – dice -, sappiamo che si usa spartirsi il territorio, non esiste più la supremazia di una mafia su un’altra”. Viceversa esiste, “per una mera questione economica, la possibilità di dividersi gli introiti e quindi i territori”. Il richiamo è ai patti tra organizzazioni criminali italiane e straniere. Camorra, Cosa Nostra, mafia foggiana – aggiunge la presidente dell’Antimafia – si accordano con la mafia albanese per la gestione delle piazze di spaccio e, a loro volta, questa gestione racconta come altrove ci sia accordati”. Quell’altrove sarebbe appunto il carcere. “All’interno degli istituti penitenziari – sostiene l’esponente di Fratelli d’Italia -, è più facile che persone con storie di criminalità diverse si incontrino e mettano insieme le loro capacità economiche negative”.

D’altronde, questa è solo una delle preoccupazioni. Nelle case circondariali, c’è da fare i conti anche con la sfida tecnologica delle mafie. Tra le emergenze, ci sono le comunicazioni illecite dei detenuti. “Stiamo verificando tecnologie per schermare gli istituti penitenziari” annuncia Andrea Delmastro, sottosegretario alla giustizia. “Non riteniamo più tollerabile che – dichiara – qualcuno utilizzi gli strumenti, come i cellulari, da una parte per comunicare con l’esterno qualora abbia divieti di comunicazione e dall’altra per lanciare video su tik tok che sfidano l’autorità dello Stato”. Le schermature, come specifica Delmastro, sono tuttavia sottoposte a verifica. Da accertare l’assenza di rischi per la salute, nell’adozione di questi strumenti. E poi c’è il capitolo droga: continui sono i sequestri, in carceri come Poggioreale. Gli stupefacenti penetrano in diversi modi. Basti pensare all’utilizzo dei droni. “Negli anni come polizia penitenziaria abbiamo subito una destrutturazione, che ha portato a una grave carenza di organico e di mezzi” sottolinea Giuseppe Moretti, presidente dell’Uspp. Il sindacalista boccia pure “un modello gestionale che, nel tempo, si è rivelato fallimentare”. Parla della cosiddetta sorveglianza dinamica. “Le celle aperte – rammenta Moretti – con i detenuti liberi di circolare all’interno degli istituti”. La miscela tra tagli al comparto e tecnologie criminali è sotto gli occhi.