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Vent’anni.

Vent’anni di Napoli.

Vent’anni di parole, parole, parole, di fatti che sono andati a sovrapporsi alle parole e parole che sono andate a sovrapporsi ai fatti.

Montagne russe fatte di stadi da costruire e fantomatici centri sportivi, scugnizzeria, da Grassi e Regini per poi passare a Rafa Benitez e Sarri, Ancelotti e Spalletti, Cavani, Lavezzi, Marek, Dries, Higuain e Kvaratskhelia, Champions e Coppe Italia, tricolore dopo trent’anni e passa.

Tutto e niente, con il niente che spesso ha finito per prevalere sul tutto che in realtà è stato predominante nella gestione De Laurentiis unicamente per una comunicazione spesso insensata, provocatoria, offensiva.

Sarebbe bastato poco per finire sui muri della nostra città, per passare alla storia come Il Presidente.

Invece no, Aurelio ha fatto di tutto per spaccare la piazza in due, lotta intestina tra discepoli e miscredenti, attratto inesorabilmente dalla polemica superflua ed incapace di resistere a quel voler a tutti i costi mettere radici dalla parte del torto pur avendo spesso ragione, un fenomeno assoluto in questo.

Avremmo potuto vincere di più, certo.

Avremmo potuto non vincere assolutamente niente, vero anche questo.

Ma non è il vincere il problema. 

Non per chi scrive.

Mai chiesto di cacciare i milioni.

Mai chiesto un rinnovo, preteso un acquisto.

Io volevo semplicemente vedere Aurelio De Laurentiis come l’ho visto nel giorno della presentazione di Antonio Conte.

Basta cameraman cui mettere le mani addosso, basta piazzate indecenti, basta parole a caso su calciatori che evidentemente non conosce, basta teatrini.

Un allanatore che fa il Manager.

Un direttore sportivo.

Uno staff.

Aurelio e Chiavelli che dicono l’ultima parola sui conti, come è giusto che sia, senza intromissioni sull’aspetto tecnico, deliri su quello tattico, estirpando la piaga dei parenti che girovagano nello spogliatoio.

Ecco perché sognavo chi ho sempre detestato, perché Antonio Conte è stato nemico concettuale e pratico, in campo e fuori.

Ecco perché da più di un anno chi scrive riteneva possibile ed indispensabile l’arrivo di Antonio Conte.

Perché in realtà Conte è diventato con il passare dei mesi e la presa di coscienza del naufragio del Napoli in campo come nello spogliatoio dilaniato da scelte societarie rivelatesi drammatiche, l’unica scelta possibile per porre un freno ai deliri di onnipotenza di Aurelio convintosi di poter rinunciare a tutto e tutti.

Antonio Conte è diventata la chiave per ritrovare una quadra spazzata via dallo scudetto vinto e dagli strascichi di una gestione evidentemente malata nei rapporti, nella programmazione, nella mancata consapevolezza di dover affrontare un pallone diverso da quello in cui per non arrivare quarto dovevi solo suicidarti con il Verona.

Conte rappresentava l’investimento necessario, indispensabile per provare a ricacciare indietro  avversari nuovi e sempre più competitivi, che si tratti della possibile meteora bolognese o di un’Atalanta che sembra essersi ormai consolidata nei piani alti della classifica con idee, stadio e progetti.

Il Napoli per arrivare almeno quarto ha capito di dover investire in dirigenti e calciatori, allenatori e uomini di calcio, perché il Napoli senza risultati muore o sopravvive, e se i risultati invece arrivano e addirittura coincidono anche con la vittoria ecco che piovono vagonate di milioni come ci ha insegnato lo scudetto vinto.

L’arrivo di Antonio Conte potrà portare all’acquisto di calciatori che senza coppe mai avrebbero preso in considerazione Napoli, ma il vero colpo di mercato potrebbe averlo fatto regalando al Napoli la versione migliore possibile di Aurelio De Laurentiis, un presidente che faccia il presidente e basta, regalandoci solidità progettuale, silenzio e qualche intuizione geniale.

McBlu76