Risanamento di Bagnoli, i conti non tornano ancora. A sostenerlo è Benedetto De Vivo, uno dei massimi esperti mondiali di geochimica ambientale, già professore alla Federico II. “Leggo numeri strabilianti”. Il ricercatore da tempo ha rifatto i calcoli, con l’ausilio di colleghi stranieri. E ritiene spropositate le stime del commissariato di governo, avallate da Palazzo Chigi. Le cifre sono state diffuse lunedì, alla firma del protocollo tra la premier Meloni e il sindaco-commissario Manfredi. Mercoledì, in consiglio comunale, Manfredi ha parlato di 450 milioni di euro per le bonifiche a terra. A questa somma, già disponibile, mancherebbero ulteriori 50 milioni. Secondo De Vivo invece, si potrebbero spendere 360 milioni per l’intera messa in sicurezza del sito. Mare e terraferma insieme. Costo al massimo aumentabile a 400 milioni, calcolando gli imprevisti. Nel protocollo viceversa, si indica in 228 milioni la spesa della voce “Rimozione colmata e bonifica arenili”. Non sono chiari però i contorni dell’operazione. Rimuovere la colmata, va ricordato, è un obbligo di legge. Ma Manfredi evoca una modifica normativa, d’intesa col governo. La colmata dovrebbe dunque restare lì, in buona parte. Una scelta dettata dal risparmio sui costi, e pure dalla volontà di non intasare le strade: ci sarebbe altrimenti un viavai di camion. Ma se la rimozione fosse solo parziale, per De Vivo sarebbe inconcepibile spendere 228 milioni. Idem se la cifra si riferisse alla messa in sicurezza della colmata. Un risultato perseguibile con la tecnica del capping, sigillando la striscia di materiale di risulta, prodotta dall’ex insediamento siderurgico. “Il capping di solito si fa per economizzare, altro che”.
Il professore sa cosa dice, è una memoria storica dell’ex area industriale. Negli anni ’90 seguì la fase preliminare di monitoraggio, gestita dalla Bagnoli spa. La società era strumento dell’Iri per l’attuazione del Piano di recupero ambientale. De Vivo era componente della commissione tecnica, nominata dal ministero dell’Economia. “Alla fine del monitoraggio – spiega – chiedevano 450 miliardi di lire per la bonifica, ma riuscimmo a farli scendere a 250 miliardi”. La ripartizione prevedeva 100 miliardi di lire per rimuovere la colmata, e 150 per il risanamento a terra. Cifre non paragonabili a quelle di oggi. “Su questa base – ricorda il geochimico – si partì col progetto di bonifica gestito dalla Bagnolifutura spa, società del Comune di Napoli”. Ma non solo questo lascia perplesso De Vivo. “Ho sentito che tornavano a parlare dell’inquinamento da metalli, un problema non esistente”. Sul punto l’esperto è categorico. “C’è una componente di origine naturale: arsenico, mercurio, cadmio, proveniente dalle sorgenti termali. La legge ambientale dice che laddove si fissano le soglie per l’uso residenziale o commerciale, esse sono modificabili dove c’è un contributo naturale”. In questo caso la soglia si innalza in funzione della distribuzione statistica di tale elemento valori background (le concentrazioni di base di inquinanti, cui si aggiungeranno quelle delle emissioni dell’impianto). “C’è un contributo naturale acclarato, che ho dimostrato in tante pubblicazioni scientifiche: non si deve fare niente, perché non si può bonificare la natura”. Per esemplificare, sarebbe “come se volessimo tappare le sorgenti naturali ad Agnano o a Bagnoli”. L’esito sarebbe paradossale. “Andrebbero tutte chiuse – afferma De Vivo – perché il contenuto di arsenico in queste sorgenti termali, secondo legge, nelle acque è di 10 parti per miliardo, mentre nelle aree termali arriva a 1200-1500. Alle stufe di Nerone a Baia arriva a 5.200″.
C’è poi la componente di carattere industriale. Deriva dalle loppe, gli scarti di altoforno. “Ma queste, proprio venendo dall’altoforno, sono ossidate, vale a dire sono immobili: non si trasferiscono dal suolo alla falda, sono innocue”. A Bagnoli, viceversa, il problema “sono gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) e Pcb (Policlorobifenili)”. Si tratta di composti organici altamente cancerogeni. “Ma questi si eliminano con il desorbimento termico in situ”. Con questa tecnologia, si riscaldano i suoli inquinati, vaporizzando i contaminanti organici volatili e semi-volatili. “Senza scavare un grammo di terreno” precisa De Vivo. Vale a dire, “si fanno dei pozzetti di riscaldamento e dei pozzetti di estrazione”. Lo studioso ha interpellato una società internazionale, attiva nel settore, per un parere. Risposta: “Costerebbe 60 milioni di euro a stare larghi. È una tecnica che si usa in tutto il mondo”.
Tuttavia, De Vivo lancia l’allarme stagno. Al 100% naturale, viene dalle rocce vulcaniche. “Come elemento isolatamente non è tossico, ma se si combina con sostanza organica come Ipa e Pcb, forma un composto super-cancerogeno, il Dibuthil Stagno e il Tributhil Stagno”. In sua presenza, dunque, “bisogna assolutamente vietare impianti di stabulazione delle cozze, presenti al largo di Bagnoli”. Il rischio è per l’ingestione dei mitili. Altro capitolo critico: la messa in sicurezza dei dei sedimenti marini. “Sono esterrefatto – sottolinea il ricercatore -: hanno previsto altri 400 milioni di euro”. Anche qui vengono proposte alternative assai meno dispendiose. “Per tutta questa operazione prevediamo non più di un centinaio di milioni, soluzione studiata con i miei colleghi americani”. Difatti “nella zona interna, quando hai creato condizioni di mare calmo si mettono 30-40 cm di sedimite, sostanza che stabilizza questi composti organici al fondo” E se proprio si “vuole spendere un poco di più, si potrebbe mettere del carbonio attivo, ma ha la stessa funzione”. Tutto pur di rilanciare l’appello: eliminare sprechi si può, realizzando in pieno le bonifiche.