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di Rosario Dello Iacovo

Non ero fra gli entusiasti quando Antonio Conte fu accostato mesi fa per la prima volta al Napoli. Un nome in rotta di collisione con quell’idea di calcio affermatasi da Rafa Benitez in avanti. Difesa a quattro, calcio champagne, attitudine offensiva.

Quello spartito nelle sue diverse declinazioni e con esiti differenti è stato interpretato da Benitez in avanti fino al trionfo con Spalletti, passando per il triennio sarrista e l’anno e mezzo di alterne fortune di Gattuso.

In mezzo la sola eccezione di Ancelotti, che faceva comunque un calcio propositivo ma con delle peculiarità che non ne permettono l’accostamento a quello di altri. Il pallone di Re Carlo da Madrid è nella sua liquidità e nella capacità suprema di gestione della rosa, un’altra cosa. Probabilmente, non replicabile oltre il perimetro ristretto dell’élite assoluta del calcio mondiale.

Conte è invece la rivoluzione copernicana che riporta il Napoli al copione di una sofferenza, con rispetto parlando, quasi mazzarriana della prima ora. Lavoro, sacrificio, sudore e presumibilmente difesa a tre senza che questo significhi calcio meno aggressivo e offensivo. Parole che sono risuonate come musica celestiale alle orecchie della piazza, dopo l’esito infausto della scorsa stagione e la convinzione radicata che i calciatori a un certo punto hanno tirato i remi in barca.

Un altro dei motivi per i quali ero titubante rispetto ad Antonio Conte, è la fine burrascosa del suo rapporto con il Tottenham. Vivevo a Londra allora. Quella conferenza stampa è rimasta nella storia del calcio inglese, regalando però ad Antonio Conte la fama di piantagrane che non esita a scaricare sul club colpe e responsabilità.

Capiamoci: Conte non aveva torto. Con gli Spurs non vince nessuno. Non ha vinto Conte, ma non ha vinto neanche Mourinho. Allenatori che hanno vinto quasi ovunque altrove. L’ultimo a vincere il campionato a North London fu Bill Nicholson, leggenda del Tottenham. Prima nel 1950/1951 in campo e poi nel 1960/1961 come allenatore. Da allora, e parliamo della vecchia First Division, il Tottenham non ha più vinto continuando ad annoverare in bacheca solo quei due solitari campionati di un calcio antico.

Nella conferenza stampa a Palazzo Reale si è visto invece un Conte molto sereno, ma non per questo meno determinato. Evidentemente, la sfuriata londinese e le sue conseguenze hanno contribuito a mitigarne gli eccessi, ma non la risolutezza. Antonio Conte, prendendosi la scena, ha confermato l’idea rafforzatasi via via negli ultimi mesi che sia lui la shock therapy di cui ha bisogno il Napoli.

Ma non solo. Conte è l’azzardo ambizioso di un Aurelio De Laurentiis, mai così ancillare e silenzioso in conferenza stampa, che per la prima volta in 21 anni di gestione sembra aver affidato davvero le chiavi del Napoli in mano a qualcuno. Ce n’era bisogno dopo l’improvvisazione al potere dell’estate scorsa, in cui con ogni evidenza il club ha sottovalutato le difficoltà di difendere il titolo appena conquistato.

Conte è un’operazione costosa, ma quanto ha perso il Napoli nel corso dell’ultima stagione col mancato accesso alla Champions, al Mondiale per club e in termini di svalutazione della rosa? De Laurentiis ne è consapevole più di tutti e perciò ha capito che bisognava correre ai ripari rischiando.

Se risolve rapidamente rinnovi e mal di pancia e piazza i colpi che servono, ha rimesso il Napoli nella condizione di essere di nuovo competitivo. La piazza e Antonio Conte ne sembrano già convinti. In quella conferenza stampa siamo sembrati finalmente e addirittura una squadra normale. Per diventare normali a Napoli serviva una rivoluzione. La rivoluzione di Antonio Conte.

Rosario Dello Iacovo