“C’è una superficialità assoluta rispetto alla questione delle infezioni nosocomiali, è un problema grosso che riguarda tutta la sanità. E forse in particolare la sanità campana”. L’allarme sottovalutazione arriva da Margaret Cittadino, referente della sezione salernitana del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. Gli Sos lanciati spesso cadono nel vuoto. Eppure, la questione rimane.
L’ultimo caso è un’inchiesta della procura di Benevento, nata dalla denuncia dei familiari di un medico irpino. L’uomo è morto a maggio 2022 per le conseguenze di una setticemia. Negli ultimi mesi di vita, è stato ricoverato in tre diverse strutture (San Pio di Benevento, clinica Villa Margherita alle porte del capoluogo sannita, Moscati di Avellino). Dopo l’autopsia, la causa del decesso è apparsa chiara. Non l’esistenza di responsabili però.
L’indagine, infatti, è a carico di ignoti. “Molto probabilmente – dice Cittadino – noi perdiamo pazienti post chirurgici proprio per le infezioni. Solo adesso l’Asl Salerno ha fatto il bilancio del rischio clinico, e l’azienda ospedaliera Ruggi d’Aragona solo adesso ha fatto il regolamento del rischio clinico, dopo essere stata da noi sollecitata varie volte. Il rischio clinico sono le infezioni nosocomiali, e significa anche come si tratta ogni evento avverso, che non riguarda solo le infezioni nosocomiali”.
Per la volontaria di Cittadinanzattiva “un altro problema è che queste regole dovrebbero essere imposte all’accreditato, dato che loro dicono di fare parte del servizio sanitario. La maggioranza di questi casi di infezioni chi le va a denunciare? Chi va a pretendere un’autopsia?”. Il nodo è proprio quello: quasi sempre, questi decessi restano senza colpevoli. E per un caso denunciato, per tanti altri nemmeno si va dal magistrato. Secondo l’esponente del Tribunale per i diritti del malato, all’origine ci sono diverse negligenze. Come il fatto di “curare sempre con maggiori antibiotici, nonostante ci sia un progetto nazionale e delle disposizioni per ridurre l’uso degli antibiotici. Cioè per ridurre l’antibiotico resistenza, che produce centinaia di morti evitabili”.
Tutto resta avvolto nelle nebbie dell’incertezza. “Che ne sai di quanti pazienti di cardiochirurgia che sono stati operati, poi sono morti a distanza di tempo per infezione? – si chiede Cittadino – Cominciano ad avere la febbre, il tampone viene fatto sullo sterno. Poi viene usato l’antibiotico. E chi ti dà la conferma che quella era un’infezione presa in sala operatoria?”.
Per la volontaria “il fatto grave non è che il paziente abbia l’infezione, perché è quasi normale avercela, e avere i germi patogeni. Il fatto grave è che non ci si cura di fare prevenzione”. Di fatti c’è “una serie di regole. Ad esempio – spiega l’esponente di Cittadinanzattiva-: al paziente, al quale si mette il catetere, quando se ne va bisogna tagliare la parte superiore del catetere e inviarla per l’analisi di laboratorio. A chi ha la febbre non vanno dati antibiotici se prima non va in emocoltura (tecnica per la diagnosi microbiologica di batteriemia o sepsi da un campione di sangue, ndr). Queste cose prima non si facevano, adesso si fanno in quasi tutti i reparti. Ma è l’analisi ambientale che non si fa”. Insomma, le infezioni nosocomiali restano “un problema grande, e non fanno scandalo perché non è tanto evidente”.