Ha ammesso di aver apposto la firma ad un verbale in cui sapeva erano scritte “cose non vere” la psicologa del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) Maria Affinito, sentita al processo per le violenze ai danni dei detenuti avvenute nel penitenziario casertano il 6 aprile 2020, in cui sono imputati 105 tra agenti penitenziari, funzionari del Dap e medici dell’Asl di Caserta. Affinito, all’epoca dei fatti, lavorava con contratto a convenzione presso il carcere sammaritano, ed aveva in carico il detenuto Hakimi Lamine, posto in isolamento dopo la “mattanza” del 6 aprile e poi deceduto il successivo 4 maggio; del suo decesso rispondono 12 imputati sui 105 per il reato di morte come conseguenza della tortura. Il falso riguarda l’isolamento deciso dopo la perquisizione del 6 aprile per tre reclusi, tra cui uno Hakimi poi deceduto: nel verbale, sottoscritto con i vertici del carcere, veniva riportato che non si era potuto dare seguito ai 15 giorni di esenzione dalle attività comuni per mancanza di posti in stanza singola, anche se in realtà l’esenzione poteva essere eseguita anche in stanza non singola. Per la Procura lo scopo dei vertici del carcere era di occultare le responsabilità connesse al fatto che l’isolamento per lo straniero e gli altri due, così come per altri 12 detenuti malmenati il 6 aprile, era durato ben oltre i quindici giorni prescritti dall’ordinamento penitenziario, scaduti il precedente 21 aprile. Il punto era che Hakimi come gli altri detenuti in isolamento dopo i 15 giorni di isolamento avevano diritto a essere trasferiti a un’altra stanza, anche insieme con altri detenuti, cosa che invece non è avvenuta allungando oltremodo il periodo di isolamento.
In aula, rispondendo alle domande dei pm Alessandro Milita e Daniela Pannone e degli avvocati difensori in sede di controesame, l’Affinito non ha ricordato nitidamente Lamini, e solo dopo che le è stata fatta la contestazione ha ammesso con certezza che Lamini era suo paziente. La psicologa ha quindi confermato quanto già ammesso durante il colloquio svolto con gli inquirenti il 16 luglio 2020, cioè che delle violenze era venuta a sapere solo quando “sono diventate mediatiche, e ne sono rimasta sconvolta”, e che durante i colloqui fatti via Skype dopo il 6 con i detenuti, non si era accorta delle contusioni e delle ferite sul viso dei reclusi, “perché le immagini erano poco nitide”. La Affinito ha poi confermato che nel verbale del 4 maggio 2020 firmato con i vertici del carcere sammaritano – i due vicedirettori Maria Parenti e Arturo Rubino, entrambi imputati – e che riguardava l’isolamento deciso dopo la perquisizione del 6 aprile per tre reclusi, tra cui Hakimi, c’era scritto che “non si è potuto dar seguito ai comminati 15 giorni di Eac (esenzione attività comuni) per mancanza di posti in stanza singola”, circostanza quest’ultima non vera in quanto l’Affinito ben sapeva “che l’Eac può essere eseguito anche in stanza non singola”; la vicenda è contenuta in un capo di imputazione per il reato di falso a carico di Rubino e Parenti, e così qualche avvocato ha sollevato la questione di una presunta auto-incriminazione da parte della Affinito, ma il presidente del collegio di Corte d’Assise Roberto Donatiello, dopo aver sospeso per oltre mezz’ora l’udienza, ha deciso che la professionista non si era autoaccusata, per cui non bisognava interrompere il suo esame. Il fatto concerne la convocazione d’urgenza da parte dei vertici del carcere della riunione del Got (Gruppo Osservazione e Trattamento) il 4 maggio 2020, poche ore dopo il decesso di Lamini, e ciò con lo scopo di “dare una cornice” a quanto avvenuto, come spiegato in aula dalla Affinito. Per la Procura lo scopo di Parenti e Rubino era di occultare le responsabilità connesse al fatto che l’isolamento per Hakimi e gli altri due, così come per altri 12 detenuti malmenati il 6 aprile, era durato ben oltre i quindici giorni prescritti dall’ordinamento penitenziario, scaduti il precedente 21 aprile. E per Hakimi, proprio l’isolamento durato quasi un mese (era stato trasferito solo il primo maggio) avrebbe aggravato un quadro clinico già preoccupante portandolo alla morte. Nel verbale ritenuto falso, si dà atto dunque che il provvedimento disciplinare comminato l’otto aprile – due giorni dopo i pestaggi – era rimasto ineseguito, cosa non vera perché Hakimi era finito in isolamento al Danubio, come emerge dalle intercettazioni telefoniche.