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Al maxi-processo per le violenze commesse il 6 aprile 2020 al carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) dagli agenti penitenziari nei confronti dei detenuti – 105 imputati tra poliziotti, funzionari del Dap e medici dell’Asl di Caserta – si inizia a parlare dei messaggi e delle chat trovate nei cellulari sequestrati agli indagati due mesi dopo i fatti, nel giugno 2020; sequestro che allora provocò molte polemiche per le modalità attuate dai carabinieri, che si presentarono fuori del carcere fermando le auto degli agenti cui dovevano sequestrare i supporti informatici, e ciò di fronte ai familiari dei detenuti che erano in attesa di entrare per visitare i congiunti. Ci furono proteste e un agente salì anche sul tetto del carcere, e solo l’intervento del pm Alessandro Milita – che sostiene l’accusa in aula – riportò la calma.
Oggi però quelle chat sono a rischio, ritenute inutilizzabili dagli avvocati di tutti gli imputati perchè la Procura, dopo il sequestro, non separò i messaggi personali da quelli rilevanti per l’indagine, tutti finiti agli atti del processo; peraltro proprio la settimana scorsa, il perito nominato dal collegio di Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere davanti al quale è in corso il dibattimento, ha depositato la perizia con i sub-cloni, dunque copie del contenuto dei cellulari sequestrati, rendendo dunque dirimente la questione dell’inutilizzabilità di chat e messaggi.
 
La circostanza fu già sollevata ad inizio 2023, quando il processo era alle prime battute; a presentarla furono i legali dell’ex provveditore campano alle carceri Antonio Fullone, ovvero gli avvocati Sabina Coppola, Claudio Botti e Caterina Migliaccio, ma la questione fu rigettata dal collegio giudicante presieduto da Roberto Donatiello. Da allora però è intervenuta una importante sentenza della Corte Costituzionale – la 170 del 2023 – che riguardava il processo per la vicenda Open e l’acquisizione da parte della Procura di Firenze di messaggi del senatore Matteo Renzi – e che stabilì come messaggi e chat fossero equiparabili alla corrispondenza, la cui inviolabilità è sancita dalla Costituzione (articolo 17); ciò implica l’obbligo per l’autorità giudiziaria, e solo per essa e non per la polizia giudiziaria anche delegata, di selezionare il materiale rilevante per l’indagine, separandolo da quello di carattere personale, che va eliminato.
Il 5 marzo scorso un carabiniere che in fase di indagine lavorò proprio alle chat, ha ammesso però in aula di aver estrapolato e selezionato il materiale rinvenuto nei cellulari sequestrati agli agenti e agli altri indagati. E oggi l’avvocato Vincenzo Maiello, difensore dell’imputata Francesca Acerra, anche in virtù di quanto affermato dal testimone di polizia giudiziaria, ha richiamato la sentenza del Consulta sul caso Renzi-Open per ribadire al collegio la richiesta di dichiarare inutilizzabile tutto il materiale estrapolato; Donatiello si è riservato la decisione per le prossime udienze