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Il pentimento di Francesco Schiavone è sicuramente un po’ tardivo ma è comunque importante, perché vuol dire che anche queste persone hanno una coscienza”. Così si è espressa Marisa Diana, sorella di don Peppe, il sacerdote ucciso dal clan dei Casalesi il 19 marzo del 1994, di cui quest’anno è ricorso il trentennale con numerosi eventi e manifestazioni organizzate fino alla scorsa settimana, commenta la decisione del capoclan dei Casalesi, noto come Sandokan, di collaborare con la giustizia. “Anche loro, come noi, hanno figli, fratelli e nipoti che vivono nelle nostre terre, e che pagano per i loro errori e per i danni fatti alle persone e al territorio”.

Peraltro – aggiunge Marisa Diana – gli Schiavone probabilmente non c’entrano con l’omicidio di mio fratello, anzi dopo il fatto fecero arrivare parecchi messaggi ai miei genitori in cui affermavano la loro estraneità al delitto, manifestando dispiacere per quanto accaduto”.
Il riferimento è ai mandanti del delitto di don Peppe, che non furono gli Schiavone e in particolare Sandokan, ma Nunzio De Falco, altro boss di Casal di Principe contro cui il clan Schiavone, insieme ai Bidognetti, combattè una sanguinosa faida tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei ’90 per affermare il dominio sul territorio dopo l’uccisione del fondatore del clan Antonio Bardellino.
Ma aldilà della mia vicenda personale, credo che il pentimento di Schiavone sia una cosa importante, per sé stesso e la sua famiglia ma anche per il territorio”.