La Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano per come ha gestito la discarica in località Lo Uttaro, nel Comune di Caserta, dal 1994. Nella sentenza la Cedu indica in particolare, che l’inquinamento causato dai rifiuti ha avuto un impatto negativo sul benessere personale dei ricorrenti durante la crisi creata dal mal funzionamento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti durante lo stato di emergenza in Campania dal 1994 al 2009 e che tale situazione continua per quanto riguarda la discarica a Lo Uttaro, che a tutt’oggi le autorità italiane non hanno ancora messo in sicurezza o bonificato.
LE REAZIONI
“In relazione alla recente sentenza, con cui la Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano per l’inquinamento creato dalla discarica del sito di Lo Uttaro, nel Comune di Caserta, dal 1994, si ritiene opportuno precisare quanto segue.
“La discarica di Lo Uttaro, – prosegue – un nome che riecheggia come promemoria doloroso della nostra incapacità di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini e l’integrità del nostro territorio, è stata un epicentro di sofferenza e negligenza. Dal 1994 al 2009, la crisi della gestione dei rifiuti ha trasformato le strade in discariche a cielo aperto, esponendo i residenti a condizioni insostenibili e pericolose”.
“Oggi, mentre è doveroso riflettere sulla sentenza della Corte di Strasburgo, dobbiamo anche affrontare la realtà cruda e scomoda del fallimento dei vari governi che sono passati senza voltarsi. Hanno permesso che l’indifferenza, la corruzione e la mancanza di responsabilità compromettessero la salute e la sicurezza dei concittadini delle cittadine e devastassero l’ambiente. La sentenza della CEDU non è solo una condanna, è un appello urgente per garantire che i diritti umani e ambientali siano al centro delle nostre politiche e delle nostre azioni”, conclude Borrelli.
LA STORIA
La vicenda della discarica Lo Uttaro a Caserta – per la quale lo Stato Italiano è stato condannato dalla Cedu – si intreccia con la storia dell’emergenza rifiuti in Campania, protrattasi per una quindicina di anni dal 1994 al 2009. Lo Stato iniziò ad usarla proprio dal 1994, prima di allora era privata e si chiamava Ecologica Meridionale, quindi prese il nome dell’area in cui sorge.
Lo Uttaro è situata nella zona sud di Caserta al confine con i comuni di San Nicola la Strada, Maddaloni e San Marco Evangelista e nei pressi sorgono quartieri residenziali e insediamenti produttivi. Per anni ha ricevuto rifiuti umidi, per poi essere chiusa e riaperta nella primavera del 2007 – col nome Lo Uttaro 2 o Nuova Lo Uttaro – nel periodo più cupo della crisi rifiuti, quando i sacchetti di immondizia riempivano le strade dei comuni, in particolare delle province di Caserta e Napoli, arrivando fino ai primi piani delle case.
Con la discarica napoletana di Villaricca in esaurimento, Lo Uttaro 2 fu aperta in fretta e furia, in una sorta di continuità con l’invaso usato dal ’94 – Lo Uttaro 1 – e ciò avvenne nonostante le proteste dei cittadini casertani, visto che la bonifica del primo invaso non era avvenuta e che nell’area inoltre già sorgevano altre due discariche realizzate in altrettante cave di tufo, un sito di trasferenza dei rifiuti e a fianco il “panettone”, ovvero una montagna di immondizia proveniente dalla Notte Bianca tenutasi a Napoli nel 2003 (rimosso solo nel 2010).
Lo Uttaro 2 fu aperta in seguito a un un protocollo d’intesa firmato nel novembre 2006 dal sindaco di Caserta Nicodemo Petteruti, dal presidente della Provincia di Caserta Sandro De Franciscis e dal commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania Guido Bertolaso.
Antonio Limatola, direttore generale del Consorzio di bacino Caserta 3, che gestì la discarica Lo Uttaro 2, ricorda di essere stato contattato un pomeriggio, tra marzo e aprile 2007, da Bertolaso. “Mi disse di aprire la discarica, già consagnataci dal Commissariato dopo il positivo collaudo, altrimenti avrebbe fatto intervenire l’esercito la mattina dopo. Così aprimmo Lo Uttaro due, sebbene si trattasse di un’area già compromessa dal punto di vista ambientale”.
L’invaso, aperto dunque nel 2007, rimase in funzione solo pochi mesi tra continue chiusure e riaperture: fu prima il sindaco di Caserta Petteruti a chiudere l’invaso, poi riaperto dal Commissariato di Governo, quindi lo chiuse il giudice civile di Napoli, cui si erano rivolti i Comitati, e sempre il Commissariato riaprì; infine, nel novembre 2007, intervennero i carabinieri del Noe a sequestrarlo su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Ad inizio 2008 ci provò il Commissario De Gennaro a riaprirla, ma non vi riuscì e venne così aperta a Santa Maria la Fossa la discarica di Ferrandelle e Lo Uttaro venne definitivamente chiusa.
Le indagini della Procura intanto diedero vita ad un processo sull’apertura e la gestione dell’invaso conclusosi senza colpevoli. “Tutte le analisi effettuate da Arpac e laboratorio Chelab di Treviso – ricorda Limatola – diedero esito negativo per quanto riguarda l’inquinamento della falda ma anche i markers di tossicità. Lo Uttaro 2 fu super controllata, e anche per questo sono stato assolto dal tribunale, ma la prima discarica no”.
Da 15 anni dunque la maxi-discarica formata da Lo Uttaro 1 e 2, per quanto chiusa, non è mai stata messa in sicurezza – o comunque sono stati fatti solo interventi tampone – e nel 2019 la Procura di Santa Maria ha sequestrato nell’area dodici pozzi utilizzati per le colture agricole e l’uso domestico risultati contaminati per decenni con l’arsenico usato per l’attività industriale. Solo qualche giorno fa il Comune di Caserta ha annunciato lo stanziamento di 6,5 milioni di euro per bonificare una parte della discarica Lo Uttaro, ma l’intervento, che peraltro partirà nel 2024, è arrivato troppo tardi.