Tempo di lettura: 3 minuti

Caserta – Era il 1989 quando Pasquale D’Abrosca, imprenditore di Grazzanise (Caserta), fu ucciso dal clan dei Casalesi perchè si era rifiutato di concedere alla cosca l’ennesima fornitura di cemento gratuita. Oggi, ventotto anni dopo, uno dei killer è stato condannato a 16 anni di carcere: si tratta di uno degli esponenti di spicco del clan, il boss Francesco Schiavone, detto “Cicciariello”, cugino del capoclan omonimo noto come “Sandokan”. La condanna è stata emessa dal Gup del Tribunale di Napoli Dario Gallo al termine del processo svoltosi con rito abbreviato. Cicciariello ha inviato al giudice una lettera di due pagine in cui ha chiesto scusa alla famiglia di D’Abrosca, definendo la sua azione “vile e disumana”. “Per me è perdonato – dice il fratello della vittima, Antonio D’Abrosca – ho apprezzato la lettera che ha scritto, ha fatto del male e pagherà trascorrendo una vita in carcere. La vera sofferenza è pensare che nessuno potrà ridarci Pasquale, ma come famiglia non serbiamo rancore”. Antonio D’Abrosca ha lottato perché il “cold case” di camorra fosse riaperto. “Oggi – prosegue – è una giornata importante per la giustizia sebbene la condanna sia arrivata dopo tanti anni. Ma è una giornata importante anche per noi; abbiamo sofferto tutti in silenzio, oggi la verità finalmente è venuta a galla”. Cicciariello era l’unico imputato; non ha mai voluto rivelare, infatti, il nome del complice; da tempo si definisce un “dissociato” dal clan dei Casalesi, non un “collaboratore di giustizia”, da qui la decisione di autoaccusarsi di crimini anche efferati senza coinvolgere però i complici. Schiavone, che sta scontando l’ergastolo, rivelò di essere l’esecutore materiale del delitto D’Abrosca due anni fa nel corso di un processo per un altro omicidio. Pochi giorni dopo l’udienza, l’avvocato Giovanni Zara raccolse le informazioni sull’omicidio D’Abrosca dal fratello della vittima, e fece richiesta di riapertura indagini alla Dda di Napoli.

Il fascicolo finì al sostituto Anna Maria Lucchetta, che senza perdere tempo convocò lo stretto congiunto di D’Abrosca e lo stesso Cicciariello, riuscendo con determinazione a ricostruire la dinamica dell’omicidio. Il boss raccontò di essersi recato insieme ad un altro affiliato presso l’azienda di materiale edile di D’Abrosca, la Ediltutto – importante società che fatturava molte centinaia di milioni di lire all’anno – con l’intento di picchiare l’imprenditore che, in una precedente circostanza, si era rifiutato di fornire gratuitamente al clan dei Casalesi del materiale del valore di 7-8 milioni di lire. “No, questa volta non vi do nulla, già ho pagato tanto” urlò D’Abrosca di fronte all’ennesima richiesta estorsiva; l’imprenditore, racconta Cicciariello, sparò addirittura un colpo di pistola – deteneva l’arma legalmente – verso il suo complice; dopo aver sentito il proiettile, il camorrista, che era all’esterno dell’azienda, entrò e sparò tre colpi di pistola verso D’Abrosca; questi fu condotto in ospedale a Capua, poi fu trasferito a Napoli dove morì.