di Anna Rita Santabarbara
Castel Volturno (Ce) – Accoglienza e Integrazione: quante volte al giorno sentiamo ripetere queste due parole? Risuonano nei notiziari nazionali, alla radio, per strada o magari davanti al bar: due vocaboli diventati quasi uno slogan per l’Italia del XXI secolo, da nord a sud.
Dando una rapida occhiata ad un qualunque dizionario della lingua italiana, noteremo che accogliere significa letteralmente “accettare, ricevere, ospitare”, mentre integrare ha il valore di “completare aggiungendo ciò che manca o che serve a migliorare o arricchire”. L’associazione, dunque, non è casuale. Se la prima parola suggerisce l’idea dell’accettare ciò che viene dall’esterno, la seconda sottolinea che questa accettazione può trasformarsi in una forma di arricchimento.
Ora proviamo ad applicare questi significati apparentemente astratti alla realtà alla quale sono comunemente associati, quella dell’immigrazione. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a politiche nazionali di contenimento del fenomeno migratorio passate attraverso divieti, polemiche, accuse, repliche e talvolta azioni legali. Il faro è puntato su chi tenta di entrare in Italia, mentre i riflettori si sono progressivamente abbassati su un altro aspetto del fenomeno tanto centrale quanto quello degli sbarchi: la gestione dei migranti presenti sul territorio italiano.
A fornire una prospettiva di osservazione interessante a tale proposito è il Centro Fernandes di Castel Volturno. Meta di immigrati dalla fine degli anni ’80, la città ha rappresentato “un’anteprima nazionale del fenomeno migratorio”, come sottolineato dal direttore dell’istituto, il dott. Antonio Casale, al punto che oggi la popolazione straniera conta circa 15.000 migranti (tra regolari e non) a fronte dei circa 25.000 cittadini. “Probabilmente la grande disponibilità edilizia ha fatto sì che la città divenisse una meta privilegiata per i migranti. Qui non esistono baraccopoli o accampamenti, qui gli immigrati hanno la possibilità di avere una casa”, spiega il dott. Casale.
Dopo il boom edilizio degli anni ’70 e ’80, infatti, a Castel Volturno sono sorte case e villette di villeggiatura un po’ovunque, in maniera più o meno disordinata. Molte di queste costruzioni erano abusive e, dopo la decadenza del litorale marittimo, sono state progressivamente abbandonate o date in affitto agli immigrati. Questo fenomeno è cresciuto in maniera esponenziale considerando l’assenza quasi totale di controlli, dovuti anche al fatto che non esisteva una rete di vicinato che permettesse di fare luce su quello che accadeva nella casa accanto. Un fenomeno migratorio cresciuto in modo silenzioso e indisturbato, insomma.
In questo contesto si è inserito il Centro Fernandes, nato come struttura di accoglienza e servizi per immigrati. “Questo luogo è stato per anni simbolo del degrado della città”, spiega il presidente dell’istituto, il dott. Antonio Casale. “Dopo anni di abbandono e di decadenza è stato occupato abusivamente dagli immigrati privi di abitazione. Negli anni ’90 la struttura contava tra i quattrocento e i cinquecento immigrati, senza servizi igienici e senza un numero adeguato di posti letto”.
A farsi carico di un problema sociale ormai sul punto di esplodere è intervenuta la diocesi di Capua, che dal 1996 gestisce quello che oggi è il Centro Fernandes e che rappresenta un punto di riferimento importante per migranti e cittadini. Qui, infatti, accoglienza e integrazione non si traducono soltanto nel fornire un luogo in cui passare la notte o in cui ricevere pasti, come spesso si è indotti a credere. La politica adottata dal centro è, infatti, quella di avvicinare i migranti alla cultura del territorio. “L’obiettivo non è quello di fornire accoglienza, o almeno l’accoglienza è soltanto una parte delle nostre attività”, spiega il direttore Casale. “La nostra priorità è quella di offrire dei servizi agli immigrati ed aiutarli a interagire con la nostra realtà. Per questo motivo abbiamo qui, all’interno della nostra struttura, un ambulatorio medico in cui settimanalmente è possibile usufruire di visite gratuite di vario tipo, dal medico generico all’odontoiatra, dall’oculista al ginecologo”.
A prestare servizio sono un gruppo di medici volontari che offrono la possibilità ai migranti regolari e non di usufruire delle cure mediche e dell’assistenza sanitaria di base. Un gruppo di suore, invece, si occupa delle donne vittime di tratta e di sfruttamento sessuale che fanno richiesta di aiuto al centro. “Non è semplice avvicinarsi a queste donne. Spesso sono restie, hanno paura, non vogliono farsi aiutare”, spiega il direttore, “ ma noi cerchiamo di far capire loro che qui hanno un punto di riferimento e che se vogliono noi ci siamo”.
Accanto a queste attività, il Fernandes tiene annualmente dei corsi di italiano per stranieri, alcuni presso il centro stesso, altri organizzati in collaborazione con il CPIA di Caserta. “Noi offriamo dei servizi a tutti. Quello che va chiarito è che non è il permesso di soggiorno a distinguere i buoni dai cattivi. Ci sono tanti immigrati per bene che per motivi vari, quali la scadenza del contratto di lavoro o del periodo di permesso per protezione umanitaria e l’assenza di una regolarità lavorativa, non riescono ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Non per questo necessariamente delinquono. Il nostro scopo è quello di avvicinare i buoi ed essere un punto di riferimento per tutte quelle persone per bene che vogliono vivere e lavorare onestamente in Italia. Se sono lasciate sole queste persone finiranno nelle mani della criminalità. Non avranno alternativa. Noi siamo qui per dire che l’alternativa esiste”.
Emblematica la testimonianza di Matar Coura Gueye, uno studente di 28 anni originario del Senegal, approdato a Castel Volturno grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dal Centro Fernandes che gli ha permesso di frequentare il corso di laurea magistrale in “Italiano per Stranieri” presso l’Università L’Orientale di Napoli. Il suo sogno è quello di diventare un docente di italiano per stranieri. “Io non voglio vivere qui da irregolare, io voglio essere utile”, spiega Matar mentre si prepara ad entrare in una delle aule del Fernandes per dare lezione di italiano ai migranti. “A volte loro non capiscono bene il funzionamento delle strutture linguistiche italiane, quindi io devo spiegargliele in inglese prima di arrivare all’italiano”.
Un esempio di eccellenza di come integrazione e competenza riescono a produrre effetti positivi. “Normalmente”, prosegue il direttore Casale, “siamo abituati a vedere i migranti come braccianti e manovali. È importante capire che invece possono diventare delle risorse per il territorio. Quello che manca, infatti, troppo spesso sono dei punti di riferimento. Se c’è bisogno di interloquire con questa gente come si fa? Con chi bisogna parlare? Come ottenere la loro attenzione per risolvere un problema in cui loro sono coinvolti? È necessario agire certamente a livello nazionale, ma è ancora più urgente che avvenga un cambiamento di mentalità nelle amministrazioni locali. Bisogna comprendere, ad esempio, che è fondamentale istituire delle consulte che lavorino accanto alle amministrazioni comunali. Gruppi di persone delle varie etnie presenti sul territorio, preparati e competenti, in grado di fare da referenti e ponte di collegamento tra le istituzioni e la popolazione immigrata. Ed è ancora più urgente la presenza di mediatori culturali e di uffici competenti in grado di offrire loro risposte concrete”.
Il Centro Fernandes, che pure sorge su una delle strade simbolo di malavita e degrado dell’intero territorio, la via Domitiana, rappresenta un modello positivo, un esempio e una sperimentazione in piccolo di quello che è necessario fare anche a livello nazionale. Quasi la trama di una favola in cui il bene sorge proprio nella roccaforte del male.
E Matar rappresenta la testimonianza più autentica di quanto l’integrazione non di nome ma di fatto rappresenta una soluzione costruttiva ad un problema troppo spesso sottovalutato.
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