“Se vuole Schiavone può ancora raccontare cose interessanti per la lotta contro la camorra.
Anche se sta in carcere da ventisei anni. Certo, la grande criminalità è andata avanti, ma lui resta ancora un elemento importante”. Lo afferma l’europarlamentare Pd Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia dal 2013 al 2017, in un’intervista al Corriere della Sera.
“Dobbiamo essere realisti e considerare che si tratta di un uomo detenuto dal 1998″, avverte Roberti in merito al pentimento di Francesco Schiavone, detto Sandokan, boss di Casal di Principe. Tuttavia “Sandokan ha da dire molte cose che possono rivelarsi utili e interessanti per chi combatte il crimine”.
Per esempio “Schiavone può raccontare cose del passato, perché quelle ha gestito in prima persona. Ma ciò non significa che non siano cose ancora interessanti. I casalesi sono stati un clan potentissimo“. E soprattutto “imprenditoria e riciclaggio erano le loro attività principali”.
Quindi può essere “un’ipotesi fondata” che il clan possa avere ancora un enorme patrimonio, anche se, avverte Roberti, “dubito” che Schiavone rivelerà dove è nascosto il tesoro dei Casalesi: “Se Schiavone volesse, potrebbe portare i magistrati che lo interrogheranno in un mondo di grandi capitali che sicuramente non è stato esplorato fino in fondo – spiega Roberti – Ma lui non è il primo capo che si pente, e quelli che lo hanno preceduto non sono mai stati molto disponibili ad aprire le loro casseforti. Spero di sbagliarmi ma non mi aspetto che Sandokan si comporti diversamente”.
DE RAHO – “È stato il camorrista che più di ogni altro ha impersonificato il modello di capo del clan dei Casalesi. Nel processo ‘Spartacus’, i collaboratori di giustizia lo hanno sempre indicato come un capo coerente con le regole della camorra, al quale gli affiliati hanno sempre riconosciuto le doti di leader. Il soggetto che, al di sopra di tutti gli altri, impartiva gli ordini che poi venivano eseguiti”. Così, in un’intervista a La Repubblica, l’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho descrive Francesco Schiavone detto Sandokan, il boss dei casalesi che ha deciso di pentirsi dopo 26 anni di carcere duro.
De Raho, che iniziò a indagare sui casalesi all’inizio degli anni ’90, è convinto che una collaborazione di Schiavone con la giustizia possa ancora avere senso: “Assolutamente sì, anzi può essere indubbiamente molto rilevante. Francesco Schiavone è colui che conosce i segreti del clan, da quando operava con Antonio Bardellino (il fondatore della cosca sparito nel nulla e, secondo le sentenze, assassinato in Brasile nel 1988, ndr) e poi in tutti gli anni a seguire. Conosce i nomi di chi ha fatto parte della rete di imprenditori che hanno stretto accordi e affari e sa dove è nascosta la cassaforte del clan che non è mai stata trovata”.
Inoltre “oggi potrebbe lanciare un messaggio potente: potrebbe dire a tutti che far parte della camorra non paga, ma anzi determina un allontanamento dagli affetti, dalla famiglia e da tutto ciò che è davvero importante nella vita di un uomo”.
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