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Riceviamo e pubblichiamo i dati forniti dalla Rete Sociale nel corso della Conferenza stampa cui ha partecipato anche il dott. Dott. Samuele Ciambriello quale Garante della Campania dei diritti dei Detenuti.

“Il quadro impietoso del Dipartimento di Salute Mentale nel Sannio è frutto di numeri che parlano da soli. Su 36 medici in servizio presso il DSM fino a qualche anno fa, ne sono rimasti 11 oltre a quelli del SPDC. Così nei CSM o Centri di Salute Mentale di Airola, Puglianello e Morcone ce n’è uno solo: se si ammala o ha un imprevisto, il servizio psichiatrico salta. Nel carcere di Benevento, poi, lo specialista in psichiatria previsto non c’è proprio. Risultato: il rapporto è di uno psichiatra ogni 39.000 abitanti benché dovrebbe essere almeno 4 volte tanto per gestire le 4.500 cartelle cliniche delle quali, solo a Benevento città, ce ne sono 1.500 con 750 casi gravi, a molti dei quali andrebbe garantita anche la consegna dei medicinali a casa: ma le domiciliari sono appena 4 al giorno. Un cucchiaino di acqua dolce nell’oceano.
Ma c’è di peggio: il DSM chiude i battenti dal venerdì alle 14 fino a lunedì mattina. Che significa? Che la Asl sta venendo meno a un obiettivo irrinunciabile: non solo assicurare le cure psichiatriche, ma fare del DSM un presidio permanente di riferimento per pazienti e familiari. Il DSM, infatti, non è un ambulatorio o un servizio come gli altri in cui contrarre orari e personale a discrezione, ma è un Dipartimento la cui organizzazione è soggetta a regole specifiche delineate nel Progetto Obiettivo della Salute Mentale regionale e nazionale che nessun management può modificare e disfare a piacimento. Fra queste regole, il DSM ha l’obbligo di fornire al paziente un servizio in una fascia oraria in cui trovare il proprio medico di riferimento e non uno qualsiasi; di fornirgli un servizio riabilitativo e di inserimento sociale come previsto dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e non un servizio ambulatoriale su appuntamento – come sta accadendo oggi – al quale il paziente deve presentarsi con le analisi di laboratorio da inserire in cartella: una sorta di meccanismo burocratico di facciata, organizzato per formalizzare la presa in carico sulla carta, ma privo di qualsivoglia efficacia terapeutica, per la quale ci vuole ben altro. Se il personale scarseggia, infatti, la Dirigenza ASL deve sanare la situazione con urgenza, con concorsi pubblici o attingendo da graduatorie regionali, per garantire i LEA: compresi i Piani Terapeutici Riabilitativi che consentono – con meno soldi e personale – cure appropriate, anziché sprecare risorse per relegare i pazienti nelle case di cura private.
Negli ultimi 3 anni, invece, la nostra Associazione di Familiari insieme a soggetti del privato-sociale e cooperative che assistono volontariamente i pazienti pur di non abbandonarli, siamo diventati una sorta di “numero verde”. Un ruolo non più sostenibile: perché all’abbandono di pazienti scompensati che si aggirano minacciosi per la città o ai tentativi di suicidio in carcere, si aggiunge il comportamento della Asl che cerca di evitare il dialogo con noi rappresentanti di pazienti e familiari, ostacolando le nostre richieste di partecipazione alle strategie aziendali. Dopo 6 diffide, infatti, dal 2018 non è stata più riunita la Consulta di Dipartimento – sede di confronto tra operatori sanitari e Associazioni dei familiari sulla programmazione delle attività del DSM – né la Consulta Socio Sanitaria della Asl. Ma perché tanta reticenza? Forse per timore che dal confronto emergano dati imbarazzanti su consuntivi e programmazione, sull’organico previsto per legge e su quello reale? Sta di fatto che queste illegittime inadempienze non sono più tollerabili. Soprattutto mentre viene sbandierato un nuovo atto aziendale che dovrebbe dotare il DSM dei requisiti del Progetto Obiettivo Salute Mentale: aspetto che ci riserviamo di verificare per farne oggetto di un incontro futuro”.