“A Ponte, in provincia di Benevento, sul mattonato di alcune abitazioni e su alcune auto parcheggiate si nota da tempo una patina di polvere bianca. È il segno tangibile della presenza di un impianto che produce conglomerati bituminosi, prodotti che servono a pavimentare le strade.
Si trova in via Piana, una tranquilla strada di periferia a 20 minuti da Benevento. È di proprietà della La.b.i.t. srl, azienda della famiglia Rillo, a capo di un gruppo che dagli anni Sessanta si aggiudica importanti commesse pubbliche, tra cui dei lavori per le principali strade statali della zona, il raddoppio della superstrada Benevento-Campobasso, quello della linea ferroviaria Caserta-Foggia, le strutture di accoglienza lungo il cammino del Rosario di Padre Pio a Pietrelcina e il centro commerciale I Sanniti. Via Piana è sede da tempo di alcune delle sue aziende.
L’inchiesta in breve
- Alla fine del 2020, la La.b.i.t. srl fa installare un impianto per la produzione di conglomerati bituminosi a pochi metri dalle case di alcuni abitanti di via Piana, a Ponte (Bn)
- Secondo alcuni residenti, l’impianto sarebbe entrato in funzione già nel febbraio 2021, molto prima di ottenere l’Autorizzazione unica ambientale (datata luglio 2022) e si troverebbe in una zona che vieta le industrie nocive
- La zona è interessata da importanti lavori legati anche ai fondi del Pnrr, come quelli per l’alta velocità e il raddoppio della strada statale Telesina, principale via di collegamento a Roma
- Fin da subito i residenti che vivono in prossimità dell’impianto riscontrano alcuni problemi: le ruspe fanno tremare le case e gli infissi, l’odore costringe le persone a vivere segregate e le polveri invadono di una coltre bianca i cortili
- Dopo un tentativo di dialogo con la società, i residenti hanno chiesto l’intervento dell’Arpac, ente incaricato del monitoraggio ambientale, che durante un sopralluogo riscontra dieci violazioni, molte legate alle emissioni
- Le violazioni portano a un procedimento amministrativo in Regione, che si conclude con una multa di mille euro. I residenti della zona denunciano una situazione ancora critica e lamentano l’assenza delle istituzioni
Per alcuni residenti, però, da circa quattro anni la vita è cambiata del tutto, a causa del nuovo impianto. «Non doveva essere costruito qui», dice Barbara, nome di fantasia.
«La polvere si infiltra dappertutto. Siamo veramente rovinati», aggiunge. «Se lavorano di notte, come è capitato, non si riesce nemmeno a dormire», le fa eco Tiziano. «Io lavoro da quando avevo 14 anni – prosegue –. Adesso che mi potrei godere un po’ la vita mi devo innervosire perché o mi arriva il fumo o la puzza o la polvere. C’era un rumore continuo nelle orecchie».
Nella sua camera da letto, Francesco si china e con il pollice e l’indice mostra lo spessore del ribasso che ha subito il pavimento, conseguenza, come affermano anche altri residenti, delle scosse provocate dai macchinari da lavoro.
«C’è stato un periodo in cui tremavano – dice appoggiando la mano aperta sui vetri degli infissi della sala – eppure sono nuovi». Le ruspe causano piccoli sismi che fanno tremare le case e gli infissi, l’odore di catrame costringe le persone a vivere segregate e la coltre bianca – residuo della lavorazione degli inerti – si deposita ovunque. «Che situazione orrenda – aggiunge Barbara – con tutti i sacrifici che abbiamo fatto per costruire queste case».
I residenti della zona pretendono chiarezza dalle istituzioni sugli effetti dell’impianto industriale sull’ambiente e sulla salute pubblica. Chiedono che sia spostato altrove, in un luogo dove possa essere meno nocivo. Non esistono risposte ufficiali sul motivo per cui sia stata scelta quella zona per un impianto del genere, ma un fatto è certo: per la provincia di Benevento il 2025 è un anno di grandi investimenti e asfalto e calcestruzzo, due dei principali business della famiglio Rillo, saranno prodotti molto richiesti.
Entro l’estate, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini ha annunciato che partiranno i lavori sulla statale Telesina, la principale strada di collegamento verso Roma. Sono poi previsti importanti lavori per la nuova tratta ferroviaria dell’alta velocità Napoli-Bari, un’opera il cui cantiere è stato inaugurato da Salvini a luglio del 2024.
I residenti, negli anni, le hanno provate tutte per ottenere il loro obiettivo: hanno tentato la via della procedura negoziata con la La.b.i.t. srl per un risarcimento, che si è conclusa senza esito. Poi hanno provato con segnalazioni a Regione, Provincia, Comune e Arpac, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania. A forza di insistere, hanno raccolto una serie di documenti utili per stimolare dei controlli sul rispetto delle prescrizioni ambientali previste dall’Arpac.
È la fine del 2023 quando l’avvocata Vincenza Stefanucci, possiede una casa vicino all’impianto, inizia una battaglia a suon di pec. Le prime sono destinate alla La.b.i.t. srl, a cui richiede le autorizzazioni per la messa in funzione dell’impianto. Di fronte alla mancata risposta, procede con l’accesso agli atti rivolto alle istituzioni.
Dove oggi sorge l’impianto per conglomerati bituminosi, nel 2019 era registrata come proprietaria del terreno un’altra azienda della famiglia Rillo, la La.i.f. srl. Secondo il Piano urbanistico attuativo (Pua) dell’epoca, ovvero il documento con cui si certifica la trasformazione di un’area urbana, il lotto doveva avere come destinazione il riutilizzo di materiali provenienti da scavi e demolizioni, con una zona di verde pubblico e parcheggi. D’altronde via Piana ospita soprattutto aziende vitivinicole e frantoi.
«La zona è destinata ad edifici ed attrezzature per attività artigianali e industriali» e «sono vietati gli insediamenti per industrie nocive di qualsiasi genere e natura», si legge nel Certificato di destinazione urbanistica (Cdu), il documento rilasciato dal Comune alla La.i.f. Eppure, alla fine del 2020, sullo stesso terreno della La.i.f. viene installato l’impianto per la produzione del bitume della La.b.i.t., nuova proprietaria del terreno, appartenente sempre alla famiglia Rillo.
L’impianto – dicono i residenti – è diventato operativo già a febbraio 2021, un anno e mezzo prima del rilascio dell’Autorizzazione unica ambientale (Auc), il principale documento che racchiude tutte le prescrizioni da rispettare in tema di ambiente concesso a luglio del 2022. Imprese come la La.b.i.t. rientrano già dal 1994 nell’elenco delle «industrie insalubri» stilato dal ministero della Salute.
Verso la fine del 2023 le richieste dei cittadini di via Piana alle istituzioni iniziano a sortire qualche effetto. Tra i documenti recapitati ai residenti, l’avvocata Stefanucci scopre le prescrizioni stabilite dall’ente incaricato dei monitoraggi ambientali, l’Arpac. L’agenzia regionale aveva chiesto una serie di interventi per limitare fumi ed emissioni di particelle inquinanti fin dal principio.
Dalla “messa in esercizio dell’impianto” – secondo l’azienda avvenuta a novembre del 2022 – alla fine del 2023 Arpac aveva condotto due ispezioni, una nell’ottobre del 2022 e l’altra nel gennaio del 2023. Durante entrambe, Arpac non aveva potuto fare campionamenti utili a valutare la situazione ambientale perché l’impianto non era in funzione.
Con le prescrizioni in mano, però, l’avvocata Stefanucci – in rappresentanza di alcuni residenti – si convince che l’agenzia regionale non abbia controllato adeguatamente l’azienda e chiede un nuovo sopralluogo, concesso poi il 16 gennaio del 2024.
Saranno dieci, alla fine, le violazioni riscontrate, tra cui la mancanza di un sistema di convogliamento dei serbatoi di stoccaggio del bitume, da cui derivano emissioni diffuse; gli stoccaggi di cumuli di granulato d’asfalto, alti cinque metri, che provocano «emissioni diffuse non autorizzate»; l’assenza della motospazzatrice e dell’autobotte sui camion, previste per l’abbattimento delle polveri diffuse, e della postazione di lavaggio delle ruote dei camion in uscita, che contribuiscono a lasciare polvere e fango sulla strada provinciale.
Il monitoraggio della situazione ambientale è una delle condizioni necessarie per la concessione dell’autorizzazione dell’impianto, così Arpac torna a visitarlo, questa volta in funzione, per effettuare due campionamenti il 13 e il 15 febbraio 2024. Nel verbale si segnala la «rilevante quantità di fumo di asfalto» che si alza durante la fase di carico e scarico degli autocarri, oltre alle emissioni fuggitive dal modulo miscelatore.
Le analisi, però, non riscontrano superamenti dei valori della soglia olfattiva o dei limiti di emissione, anche se manca in tutti i casi il campionamento del benzopirene, agente cancerogeno, per «problematiche tecniche dei laboratori Arpac», si legge nel verbale dell’ente.
La multa della Regione
A seguito del sopralluogo del 16 gennaio del 2024, l’Arpac trasmette una contestazione di illecito penale e amministrativo. Destinatari delle comunicazione sono la procura di Benevento, che apre un fascicolo, e la Regione Campania, che inizia un procedimento sanzionatorio per «aver effettuato una modifica sostanziale senza averne dato comunicazione e contestuale richiesta di autorizzazione», prosegue il documento.
Le indagini della procura sono ancora in corso. La Regione, invece, nel giugno del 2024 condanna la La.b.i.t. srl a pagare una sanzione amministrativa da mille euro, una cifra irrisoria «visto che trattasi di prima infrazione» e dato che «la ditta ha provveduto a eliminare alcuni inconvenienti», si legge sul decreto dirigenziale.
Eppure, nel corso del procedimento amministrativo, Arpac ha evidenziato delle emissioni anche gravi: da «tre serbatoi di stoccaggio del bitume» una serie di «effluenti pericolosi», in particolare il benzopirene, una sostanza cancerogena, «venivano immessi in atmosfera senza essere abbattuti». Questo elemento non viene però preso in considerazione dalla Regione nel calcolo della sanzione amministrativa.
Sia la Provincia sia la Regione hanno negato un incontro a IrpiMedia. L’Arpac ha fatto altrettanto perché coinvolta nel procedimento penale della procura come supporto tecnico alla polizia giudiziaria. La.b.i.t. srl non ha risposto alle richieste di commento di IrpiMedia.
Gli affari della famiglia Rillo
Fulvio Rillo è un noto esponente di Confindustria Benevento, di cui è attualmente vicepresidente con delega all’ambiente. È diretto erede, assieme al fratello Gabriele, del piccolo impero creato dal padre Andrea.
Un articolo del giornale locale Anteprima 24 lo definisce «l’uomo dei record», almeno nel calcio. A 51 anni è stato infatti tra i giocatori più anziani a esordire in Serie D con la sua Torrecuso, squadra che ha portato dalla seconda categoria alle soglie del professionismo in cinque stagioni, poi però smantellata dopo aver sfiorato i playoff per la promozione in Serie C nella stagione 2014/2015, quando la famiglia Rillo ha annunciato che avrebbe schierato il team juniores nelle ultime sei giornate per protestare contro alcune decisioni arbitrali.
Allo scontro decisivo contro l’Akragas, squadra di Agrigento, il Torrecuso ha scelto di non presentarsi, senza avvisare i padroni di casa. Dopo quella esperienza, Rillo è rimasto nel mondo del calcio come uno dei principali sponsor del Benevento, grazie anche al legame con il presidente Oreste Vigorito, che in quegli anni raggiungeva una storica promozione in Serie A.
«L’uomo dei record» è stato a capo della La.b.i.t. srl fino alla fine del 2021, quando ha dovuto passare le redini del comando al figlio Andrea, omonimo del capostipite della famiglia. «A causa dell’attuale impossibilità di svolgere i miei incarichi ed anche al fine di tutelare la La.b.i.t. srl da […] ripercussioni negative, ritengo opportuno rassegnare le mie dimissioni», si legge nel verbale dell’assemblea ordinaria dell’azienda datato 16 dicembre 2021.
Il motivo è un’indagine aperta dalla procura di Benevento in cui Fulvio Rillo è accusato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio e turbata libertà degli incanti. Come precisa lo stesso Rillo nel verbale, «i fatti riguardano un mio presunto ruolo di fatto nella Rillo Costruzioni e non hanno nulla a che vedere con il mio ruolo di amministratore e direttore tecnico della La.b.it srl».
La La.b.i.t. srl ha aumentato il suo fatturato da 9 a 11 milioni tra il 2022 e il 2023, con gli utili che sono passati da 151mila euro a 930mila euro. I motivi della crescita sono da cercare tra i nuovi appalti. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) preannuncia che «le prospettive future della società sicuramente saranno migliori rispetto all’esercizio 2023 in virtù dell’efficacia dei provvedimenti normativi (Pnrr – Aggiudicazione Lavori Pubblici) che il governo italiano sta predisponendo e che sicuramente avranno risvolti positivi per la società», si legge nel bilancio.
Anche la La.i.f., Lavorazione inerti fluviali, un’altra società della famiglia Rillo che si trova in via Piana, è stata interessata da commesse di questo tipo. La società ha chiuso il 2023 con un incremento dei ricavi a 14 milioni di euro e cita nel bilancio importanti trattative commerciali in corso grazie alle opportunità del Pnrr.
È la terza società del gruppo Rillo con sede in via Piana a Ponte a essere finita al centro delle indagini della procura di Benevento, la Rillo Costruzioni. Nasce nel 1962 e lavora principalmente nell’ingegneria civile, dalle opere edili, stradali e fognarie, alla sistemazione idraulica e alla bonifica. Oggi l’amministratore unico è Gabriele Rillo, fratello di Fulvio. Tra le società della famiglia è quella con i ricavi più alti, circa 28 milioni di euro nel 2023, quasi dieci in più rispetto all’anno precedente.
Secondo l’accusa, Fulvio Rillo ne era il «gestore di fatto» e per avvantaggiare l’azienda nell’aggiudicazione di un appalto da 76,5 milioni per le tratte autostradali della DT6 di Cassino, tra Puglia, Campania e Lazio avrebbe pagato una tangente, giustificata come falsa consulenza legale, da oltre 60mila euro al presidente pro tempore del consiglio di amministrazione di una società di Autostrade che avrebbe aiutato a cambiare il risultato della gara.
Per farlo, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, il presidente pro tempore della società di Autostrade «avrebbe esercitato influenza diretta e indiretta» su un manager di Autostrade per l’Italia. Gli indagati sono stati messi agli arresti domiciliari il 9 dicembre 2021, poi revocati dal tribunale del Riesame a Napoli, che ha trasferito gli atti a Roma, dove la prossima udienza è fissata a giugno.
Le diverse opinioni di Arpac e residenti
La sanzione amministrativa, quindi, non è per niente sufficiente, secondo alcuni residenti di via Piana.
Anche nella seconda metà del 2024, nelle chat di WhatsApp condividono i video del fumo che emerge durante il carico dei mezzi o quello che spunta dall’impianto, i detriti e le polveri lasciate dai camion, in perenne movimento sulla strada. Non è cambiato niente, dal loro punto di vista.
Diversa invece l’opinione di Arpac che a seguito del sopralluogo del 28 ottobre 2024 indica che «non si è rilevata la presenza di polveri diffuse» nonostante – denunciano i residenti – le tracce evidenti di polveri sulle case di via Piana. A gennaio del 2025, la Regione ha attivato un tavolo tecnico tra Arpac e La.b.i.t. srl per risolvere quelle che considera «criticità residuali», di cui non ha precisato la natura.
La La.b.i.t. srl, rivendicando la proprietà privata dell’impianto, si oppone alla presenza dell’avvocata Stefanucci, rappresentante legale di alcuni dei residenti, e ritarda l’ispezione di qualche settimana.
Avviene il 5 febbraio 2025, dopo che è stato posizionato un nuovo manto stradale sulla provinciale, ripulita momentaneamente dal fango, dalla polvere e dai detriti. «La mia impressione – spiega l’ingegner Cefalo, raggiunto al telefono dopo l’ispezione – è che queste persone (i residenti rappresentati dall’avvocata Stefanucci, ndr) anziché attivarsi per ripristinare eventualmente una condizione di diritto che secondo loro non è rispettata, vogliono che uno o più enti pubblici si attivino per risolvere problematiche che riguardano interessi di natura privata».
È la certificazione che i cittadini non otterranno nulla dalle istituzioni? «Questo – replica Celfalo – è un tuo punto di vista». E intanto i residenti aspettano ancora risposte soddisfacenti.
*I nomi degli abitanti sono stati cambiati o omessi per tutelare le fonti.
Foto di Alessandro Leone tratta da IrpiMedia