E’ una comunità intera sotto shock quella di San Marco dei Cavoti. Un ceffone in pieno volto ieri sera quando ha cominciato a girare la notizia che un figlio di questa piccola comunità ha perso la vita mentre era nel pieno della sua attività lavorativa, e verrebbe da dire anche della vita in considerazione della giovane età. Lo smarrimento al risveglio di una domenica che ha poco del ‘dì di festa’ nel mese che inizia con la giornata dedicata ai lavoratori. Giuseppe Carpinelli, 33 anni, erroneamente accostato ad un’origine beneventana nel momento del lancio della notizia, era di San Marco, paese del fortore, terra di conquista per le pale eoliche, ma questo è un altro discorso, nonchè sede del colosso per il quale lavorava.
Una tragedia accaduta nella lontana Sicilia mentre era all’interno di una di queste strutture ‘infernali’, a 112 metri d’altezza. Una caduta, le motivazioni non sono ancora note, e la fine della corsa a 48 metri dal suolo. Il calcolo è abbastanza semplice per capire quanta strada ha fatto prima di fermarsi e come erano ridotte al minimo le possibilità di sopravvivere.
Un dolore unico, una famiglia lacerata ma, verrebbe da dire, una comunità intera distrutta. Drammi che sono tremendi quando toccano in generale, diventano quasi intimi quando si va a toccare un centro così piccolo, dove tutti si conoscono e dove gli anziani hanno visto crescere praticamente intere generazioni. E tra questi c’era Giuseppe, l’ennesima vittima di un fatto tragico assolutamente evitabile, l’ennesima persona che si sveglia la mattina per ‘guadagnarsi il pane’ e non fa ritorno a casa.
Sta diventando un prezzo troppo alto da pagare. Il sostentamento al netto di una vita da rischiare non è uno scambio adeguato. Non è paragonabile il baratto tra ‘il pane’ e ‘la vita’. E il paradosso di queste assurde tragedie sul lavoro che ormai riempiono la cronaca nazionale è che si sono incrociate due fattori agli antipodi: lavorare per il futuro abbracciando rischi da medioevo.
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