Vitulano (Bn) – Uno dei principi basilari dell’arte d’avanguardia dei primi del secolo scorso è stato il tentativo di uscire dalla cornice e dai confini bidimensionali del concetto stesso di quadro. Questo presupposto è il punto di partenza per comprendere una delle linee programmatiche essenziali di un tempo dilatato, che riguarda – in un flusso persistente e aperto – anche il presente. In fondo, nell’orbita di un’arte che riflette sugli statuti propri, questa componente non vuole e non può scomparire dall’immaginario attivo degli artisti e neppure dai principi del loro impegno concreto. Non si tratta di una ovvia tenacia da parte degli artisti che proseguono ancora oggi tali presupposti, quanto piuttosto una riflessione in grado travalicare il tempo e lo spazio, le geografie e le orbite teoriche per ricercare l’essenza delle cose. E la pittura oggi, in tal senso, essendo un linguaggio primario di comunicazione, non fa eccezione.
Il lavoro di Vincenzo Frattini rientra in questo discorso complesso, che cerca di svincolarsi non soltanto dalla canonica bidimensionalità, ma anche da un’idea di pittura aniconica istintuale, visto che le connessioni delle sue investigazioni vanno piuttosto rintracciate in un alveo progettuale e analitico. Ma come si sviluppa questa connessione, conscia o inconscia, verso un passato così glorioso? Nel caso di Frattini questo rapporto non è mai ovvio, non intende mai rivelarsi con un approccio didascalico; questo perché la relazione intima che sussiste tra il lavoro di Frattini e la storia della pittura aniconica è spirituale, ma è anche il punto di partenza per nuove espressioni, che diventano plastiche e scultoree. Nel suo studio torinese, un luogo prezioso perché molto domestico, sensibile, giorno dopo giorno costruisce opere che sono architetture, frutto di specifiche progettualità. La possibilità cromatica che di volta in volta si verifica, consente il concepimento di assemblaggi, dove si accende la forma del vuoto e l’incontro con la dialettica dei pieni. Così le sue opere sono al centro di un discorso che fa della pittura uno spazio attivo d’azione sulle pareti, perciò questa mostra parte Dalla pittura per divenire luogo, terra, immagine, sua contraddizione, traccia, segno, linguaggio, simbolo, allegoria, che non diviene mai un canone ripetitivo, perché Frattini ama cambiare pelle costantemente, ama trasformare la genesi dei propri lavori. Si transita dalle pitture ovali, veri e propri moduli di un immaginario polittico che si apre in uno spazio senza confini, e si approda ai legni in cui la pittura è scavata nelle superfici lignee, come degli intagli senza tempo, in cui il colore diviene forma e architettura. Si assenta dalla realtà, Frattini, nei suoi lavori, che sono impronte di una visione integrale delle arti visive, un’attenzione che mescola e restituisce la visione delle immagini e della sua contraddizione, della forma plastica e della sua assenza, e dello spazio e della sua genesi come forma e struttura.
In mostra una selezione ragionata di opere della produzione recente: in questa occasione la galleria d’arte Casa Turese pubblica un catalogo con un testo critico del curatore Lorenzo Madaro, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera a Milano.